La Mtb ha cambiato la bici da strada e il reggisella telescopico di Mohoric alla Sanremo non è che l’ennesimo esempio.
Ma a fare notizia, a mio avviso, non è tanto il fatto che abbia utilizzato quel componente, quanto il fatto che abbia pensato e deciso di sperimentare qualcosa di nuovo.

Per ottenere un nuovo e più efficace “marginal gain”: quello con il fattore sorpresa.

Questa propensione al cambiamento e questo desiderio di sorprendere gli avversari è qualcosa che, nel mondo del ciclismo, ha iniziato ad esserci soprattutto grazie alla mountain bike.
E soprattutto alla Mtb dei primi Anni Novanta, quella in cui l’approccio dei marchi americani privo dei preconcetti, dei dogmi e dei canoni tecnici che contraddistinguevano il ciclismo in Europa, ha permesso a questa bici di diventare una sorta di laboratorio sperimentale itinerante.
E di far conoscere i vari Specialized, Trek, Cannondale e via dicendo al mondo della bici da strada che in quegli anni contava di più, cioè quello europeo.
Quindi, la prima vera innovazione che la Mtb ha introdotto sulla bici da strada è stata proprio questa: la propensione a sperimentare.




Propensione a sperimentare

“Se una bici va bene così, non si tocca”: questo era (e in realtà ancora è) il dogma in campo road.
Data questa premessa è difficile che qualcosa di nuovo possa fare breccia, ma la ricerca di nuovi marginal gain porta anche a rivalutare e ripensare la bici da strada e i suoi componenti.
E la posizione in bici del ciclista, che diventa più protesa sulla ruota anteriore con un arretramento sella sempre più contenuto.
In puro stile Mtb.

Andando indietro nel tempo, una delle prime contaminazioni offroad fu la bici con la quale Gilbert Duclos Lassalle vinse la Parigi-Roubaix del 1992.
Quella nella foto in basso.

La Mtb ha cambiato la bici da strada

Al posto della classica forcella (in acciaio, all’epoca) faceva bella mostra di sé una forcella ammortizzata RockShox Mag21 SL con pochi millimetri di escursione.

La Mtb ha cambiato la bici da strada
Un prototipo Bianchi a doppia sospensione che debuttò alla Roubaix del 1994 con Johann Musseuw (foto archivio Bianchi)

La cosa fece talmente scalpore che negli anni successivi esordirono soluzioni ancora più azzardate, come la Bianchi di Johann Musseuw del 1994 (foto sopra) addirittura a doppia sospensione.

 

Ma le innovazioni più significative, quelle che oggi caratterizzano le nostre bici da corsa, sono arrivate soprattutto negli ultimi 10 anni.
Tranne una, ovvero la lunghezza della gabbia del cambio, ovvero rapporti sempre più demoltiplicati.
Vediamo le più importanti…

Rapporti più demoltiplicati

L’immagine in basso dice tutto: fra lo Shimano Dura-Ace a 7 rapporti e quello a 11 rapporti (così come anche il 12 rapporti) la lunghezza della gabbia è aumentata in modo stratosferico.
Ovvero, è aumentata la possibilità di demoltiplicare la pedalata e di aumentare l’agilità del ciclista.
Da un pacco pignoni 12-23 a 7 velocità si è arrivati a uno 11-32 a 12 rapporti.
Oppure a uno 10-33 a 12 rapporti per chi preferisce Sram.

Il cambio a gabbia lunga e i rapporti “più agili” hanno fatto il loro debutto su una Mtb, sul finire degli Anni Ottanta: vi ricordate?

La Mtb ha cambiato la bici da strada
Il cambio Campagnolo Record OR 8v del 1990. OR sta per off road ed è la serie specifica per la Mtb del marchio vicentino.

E oggi la gabbia dei cambi Shimano, Sram e Campagnolo è lunga. Forse appena un po’ più corta di quella del Campagnolo Record OR 8v della foto in alto.

Gomme tubeless

Intorno al 2006-2008 iniziano a lavorarci Michelin, Hutchinson, Mavic e anche Fulcrum, mentre nel mondo Mtb sono già piuttosto diffuse, sin dal 2000.
Si comincia a sperimentare anche su strada questa gomma senza camera d’aria che promette prestazioni migliori in caso di foratura rispetto al tubolare.
E sulla carta è capace di comfort e fluidità di marcia del tutto simili.

La Mtb ha cambiato la bici da strada
Uno dei primissimi copertoni Hutchinson tubeless apparsi sul mercato: siamo nel 2008
Anche Fulcrum intuisce le potenzialità della gomma tubeless su strada e presenta il sistema 2-Way Fit, ossia un cerchio capace di ospitare copertoncini e gomme tubeless

Ma le prime gomme tubeless da strada e soprattutto i primi liquidi sigillanti non danno le prestazioni desiderate.
Serve qualche altro anno di sviluppo e di affinamento.
Verso il 2013-2015 arriva anche Schwalbe e altri produttori, si cambia nel frattempo la formula chimica del sigillante (noto come “lattice” per la sua colorazione lattiginosa) e da lì si inizia a parlare di una reale alternativa al copertoncino e al tubolare.
I pro’, però, ancora preferiscono il tubolare e solo nella scorsa stagione (2021) e soprattutto in quella attuale (2022) iniziano ad usare i tubeless anche in gara.
E, in alcuni casi, a pressioni talmente basse da essere inimmaginabili solo fino a pochi anni prima…

Freni a disco

A parte qualche timida e poco significativa comparsa negli Anni Novanta, il freno a disco debutta sulle bici da strada verso il 2011-2012.
L’obiettivo è rendere fruibile i benefici e l’esperienza acquisita in campo Mtb sui freni a disco anche agli utenti della bici da corsa.
Uno dei primissimi freni a disco lo avvistai alla Sea Otter Classic del 2012, su una Colnago C59.
Il freno era un Formula idraulico a doppio pistoncino con attacco di tipo Postmount (cioè lo standard in campo Mtb) e il perno era ancora di tipo classico.
Classico per l’epoca, cioè senza perno passante.

La Mtb ha cambiato la bici da strada

Il freno a disco idraulico sulla bici da strada, però, introduce un primo grande scoglio: il comando cambio sulla bici da strada integra anche quello del freno e quindi doveva essere disegnato ad hoc se si voleva utilizzare l’azionamento idraulico.
Cioè, se si voleva ottenere il massimo dal freno a disco anche su una bici da strada.

La foto sopra, infatti, mostra un rudimentale, ma ardito (almeno per l’epoca) esempio di integrazione del comando del cambio con quello del freno realizzato da Formula.
Ma non solo: il freno a disco richiedeva anche che i telai fossero dimensionati in modo adeguato, dato che la pinza applicava la forza frenante vicino al mozzo e non più sul cerchio.

Una moderna pinza freno Shimano Ultegra. Notate l’attacco freno di tipo Flat Mount, cioè simile al Postmount da Mtb, ma con le viti più vicine fra loro.
Ciò è reso possibile dalle ridotte dimensioni della pinza e del pistoncino e dal fatto che su strada non si usano pinze a 4 pistoncini. Che, per via delle dimensioni maggiori, imporrebbero l’attacco Postmount. Come nella foto in basso, ossia sui primi prototipi.

La Mtb ha cambiato la bici da strada

E anche qui è stato necessario qualche anno e diversi tentativi prima di arrivare a telai e forcelle che fossero studiati da zero e ottimizzati per freni a disco.
Da diversi anni, ormai, grazie anche al ciclocross prima e al gravel poi, il freno a disco è diventato lo standard per i sistemi frenanti su bici da strada.
Ormai, anche se c’è voluto del tempo, pure tra i professionisti.

Perno passante

Bello il freno a disco, certo, ma i telai delle bici da strada non sono ancora pronti.
Infatti, l’avere la forza frenante concentrata sul mozzo, e in particolare sul lato sinistro del mozzo, introduce un’asimmetria sulla bici di cui ci si rende conto quando si frena: la bici tira un po’ a sinistra.

Come si risolve?
Con un dimensionamento e uno spessore ottimizzato dei tubi del telaio, ma facendo bene i calcoli tutto questo non basta.
Serve di irrobustire l’interfaccia mozzo-telaio e mozzo-forcella.
Cosa fare?
Occorre abbandonare il classico quick release e vedere come sono fatte le Mtb, dando il benvenuto al perno passante.
Ossia, un asse che si infila nel forcellino, entra nel mozzo e si avvita nell’altro forcellino.
Ma non solo: per ottimizzare la campanatura dei raggi (ossia la loro inclinazione rispetto all’asse verticale) si decide di adottare una misura maggiorata della battuta del mozzo posteriore che da 135 passa a 142 mm (un valore già in voga in ambito Mtb).

Uno dei primi perni passanti per Mtb, con battuta da 142 mm. Oggi lo standard per Mtb è 148 o 157 mm al posteriore e 110 mm all’anteriore

La bici da strada diventa immediatamente più precisa, più solida e più reattiva in maniera evidente.
Il peso aumenta, ma di poco, e il perno passante richiede, anche qui, un cambiamento di abitudini, perché, se vuoi smontare la ruota, devi sfilare l’asse perché non può più rimanere attaccato al mozzo (ad eccezione del sistema Speed Release di Mavic) come accade con il classico quick release.
E questo, in aggiunta al freno a disco, spaventa per la maggiore lentezza nella sostituzione della ruota.
Ma soprattutto inizialmente.

Gomme più larghe (su cerchi più larghi)

2015-2017: le gomme tubeless su strada diventano sempre più popolari, perché spesso si auto-riparano in caso di foratura e perché sono più comode.
E lo sono per due motivi: la larghezza del copertone e, soprattutto, la larghezza interna del cerchio.
Qualche anno prima, 2012-2013, in ambito Mtb cross country racing, accade qualcosa di nuovo: le misure di larghezza aumentano (si arriva a 2,4″), perché ciò, udite udite, migliora la precisione di guida, l’assorbimento degli impatti e ne beneficia addirittura la scorrevolezza.
Rompendo uno degli ultimi dogmi sacri del ciclismo, secondo il quale “gomma stretta = gomma più scorrevole”.

Ma c’è un “però”.
Per avere i suddetti vantaggi le gomme più larghe devono essere montate su cerchi più larghi.
Infatti, se nel 2008-2010 la larghezza interna di un cerchio da competizione Xc era sui 19-21 mm, ora siamo arrivati a 26, 28 o addirittura a 30 mm.
La stessa cosa accade, qualche anno dopo (circa 2018-2019), anche sui cerchi delle bici da strada: la larghezza passa dai 15-17 mm di 5-6 anni fa ai 19-21 mm attuali, che ora è diventata la nuova misura di riferimento per i cerchi.

In evidenza nella foto la misura della larghezza interna del cerchio, 17 mm. E’ la ruota di una Giant Propel SL Advanced 0 del 2018

E le gomme?
La larghezza è passata dai 23-25 mm di 5-6 anni fa ai 26-28 e talvolta anche 30 mm dei tempi più recenti.
Nel frattempo la galleria del vento ha convalidato la larghezza maggiorata del cerchio anche in termini di efficienza aerodinamica.
Senza dimenticare che una gomma più larga contiene un volume d’aria maggiore, migliorando nettamente il comfort e la confidenza di guida in discesa.
Un triplice vantaggio, quindi, che non smetterà di introdurre migliorie e cambiamenti.

Cerchi hookless

Il cerchio hookless (letteralmente “senza uncino”) è un cerchio più semplice da realizzare (la curvatura stretta dell’uncino, infatti, non si sposa bene con le caratteristiche della fibra di carbonio), è più resistente agli impatti (motivo per cui è stato ideato in campo Mtb) ed è anche un po’ più leggero.

Un cerchio hookless da Mtb: si nota lo spessore maggiorato nella zona evidenziata in rosso. Oltre a non esserci più l’uncino, questo particolare del cerchio è molto più resistente agli impatti rispetto ad un cerchio “classico” (foto in basso).

Per il momento è un beneficio tangibile in campo offroad (Mtb e gravel), ma in realtà lo sta diventando anche in ambito road, perché consente di abbassare un po’ la pressione delle gomme riducendo sia il rischio di pizzicatura (sì, anche le gomme tubeless possono pizzicarsi…), sia il rischio di rottura del cerchio in caso di impatto con il terreno.

La sezione di un cerchio non hookless: in rosso sono evidenziati i due “uncini” che servono ad agganciare i talloni del copertone e assicurare la tenuta dell’aria (se tubeless) e/o a bloccare il copertone sul cerchio.

Al momento, a dire il vero, il cerchio hookless è fonte di qualche grattacapo perché non tutte le gomme sono ufficialmente compatibili con cerchi hookless e siccome le pressioni in gioco sono piuttosto elevate (molto di più che in campo Mtb), per il momento è uno standard che deve ancora diffondersi realmente.
Shimano, ad esempio, non lo ha adottato sulle sue ruote di ultima generazione.
Staremo a vedere.

La Mtb ha cambiato la bici da strada e continuerà, a mio avviso, a dare input e conoscenze preziose, ma il cambiamento più significativo l’ha portato 30 anni fa, introducendo una mentalità “sacrilega” nei confronti dei dogmi e dei canoni tecnici del ciclismo.
Ossia introducendo “l’americanità”, cioè una propensione alla sperimentazione un po’ per gioco e un po’ sul serio.

Arrivando spesso a risultati sorprendenti e introducendo, definitivamente, i marchi americani nel mondo del ciclismo.
Guardatevi un po’ intorno oggi…
Ci sarebbero da menzionare anche il reggisella telescopico (diventato famoso dopo l’ultima Sanremo vinta da Mohoric) e la trasmissione monocorona, ma questi sono cambiamenti che hanno preso piede solo nel mondo gravel, arrivando a caratterizzarne la bici da un punto di vista tecnico.
L’evoluzione continua e magari, chissà, anche dalla bici da strada la Mtb un giorno avrà qualcosa da imparare…

Qui altri articoli che spiegano e raccontano la storia della bici

Qui sotto, invece, le 10 bici che hanno cambiato la storia recente delle due ruote:

1985-2020: 10 bici che hanno cambiato la storia delle due ruote