Sono i primi di giugno del 1927 a Gemona del Friuli, quando un contadino trova un uomo ferito alla testa, accasciato sul suo campo, vicino a una bicicletta da corsa.
Lo riconosce, se lo carica subito in spalla e lo porta nell’osteria più vicina dove chiede aiuto a un carrettiere per trasportarlo in ospedale.

Qui l’uomo entra in coma e, dopo dodici giorni di agonia, muore il 15 giugno a soli 33 anni, dopo una fulminante carriera da ciclista.
Quell’uomo è Ottavio Bottecchia.

Non si saprà mai precisamente cosa provocò quella ferita che gli costò la vita: un malore fatale, una brutta caduta accidentale, o addirittura un’aggressione?

Ottavio Bottecchia
Foto: Bottecchia.com

Ottavio Bottecchia è stato il primo italiano a vincere il Tour de France, quando il Tour non era solo una gara a tappe, ma un massacrante inferno sui pedali.
Non solo, è stato anche il primo atleta nella storia del Tour a vestire la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa!
In più, è anche l’unico italiano ad aver vinto due Tour consecutivi, nel 1924 e nel 1925.

Foto: Bottecchia.com

Ottavio viene da una famiglia numerosa e umile del Trevigiano, non ha potuto studiare.
Da ragazzo fa il carrettiere ed è abituato alla fatica e, purtroppo, anche alla fame.
Poi scoppia la Grande Guerra ed entra a far parte di un corpo speciale, equipaggiato proprio con biciclette, che porta ordini al fronte e si distingue per assalti ed incursioni.
Il caporale Bottecchia ottiene la medaglia di bronzo al valor militare ma dopo la fine della guerra è costretto ad emigrare in Francia come muratore.



La passione per la bicicletta, condivisa con il fratello Giovanni, lo porta a correre coi dilettanti e vince anche diverse gare.
Si fa notare nel 1922 al Giro di Lombardia, vinto quell’anno da Girardengo, e poi l’anno successivo alla Milano-Sanremo.

In questa occasione, un giornalista dell’epoca lo descrive come “un povero diavolo” e racconta che riportò a casa il rifornimento che gli avevano dato durante la corsa, in modo che la sua famiglia potesse almeno per un giorno mangiare un po’ meglio…
In effetti, Bottecchia si presentava alle gare con i suoi vestiti di tutti i giorni, non aveva un equipaggiamento adatto, in più era schivo e taciturno e quando parlava lo faceva spesso in dialetto.

Foto: Facebook.com/ottavio.bottecchia

Ecco cosa riporta La Gazzetta dello Sport nel 1923: «Io non corro per sport, né per gli evviva delle folle, e neppure per i fiori delle belle ragazze e tantomeno per la gloria.
Io corro per guadagnare del denaro, più che posso, e non ci saranno fatiche o sofferenze bastanti a togliermi dalla testa questo chiodo; guadagnare schei.
Corro per la mia famiglia e non temo le sofferenze. Ne ho sopportate ben altre e certo con minor profitto.
Corro per la mia famiglia, è povera e farò tutto il possibile perché non viva in miseria […]»

La svolta avviene al Giro d’Italia del 1923, dove Bottecchia corre tra gli “isolati”, ovvero quei ciclisti che non avevano una squadra che li assisteva, e arriva quinto in classifica assoluta.
Determinante è l’aiuto di Luigi Ganna, il vincitore del primo Giro d’Italia della storia.

Durante il Giro, Bottecchia viene notato dai dirigenti dell’Automoto, un team francese che stava cercando un paio di gregari per aiutare Henri Pelissier a vincere il Tour.
Ottavio accetta l’offerta, convinto soprattutto dai soldi che la squadra francese gli promette, e va di nuovo in Francia, questa volta a fare il ciclista.

Ottavio Bottecchia
Foto: Facebook.com/ottavio.bottecchia

Al Tour de France del 1923 Ottavio è subito protagonista: veste la maglia gialla, si scatena sui Pirenei, anche i tifosi francesi si entusiasmano per lui e lo chiamano “Botescià”.
Sull’Izoard, però, va in crisi, non sta bene, e deve cedere la maglia gialla al suo capitano, Pelissier, che finalmente riesce a vincere il Tour.

Bottecchia comunque arriva secondo e questo suo piazzamento è accolto in Italia come un trionfo.
Inizia qui la sua parabola da campione.

Ottavio Bottecchia
Foto: Facebook.com/ottavio.bottecchia

L’Automoto gli fa un contratto di tre anni e al Tour del 1924 non ce n’è per nessuno: Ottavio Bottecchia è il dominatore incontrastato, veste la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa e in montagna dà spettacolo.
Quando rientra in Italia tutti lo accolgono come un eroe.
E, con i soldi guadagnati, costruisce una nuova casa per tutta la famiglia, aiuta i genitori, i fratelli e i nipoti.

Foto: Facebook.com/ottavio.bottecchia

Nel 1925 si replica: Bottecchia non è interessato al Giro d’Italia, torna al Tour da vincitore e anche stavolta vuole imporsi. Il secondo Tour è più difficile per lui, sui Pirenei fa più fatica ma sulle Alpi si riscatta e, anche se ha qualche problema, trionfa ancora una volta a Parigi.

Ora Ottavio è all’apice del suo successo, può scegliere dove correre, e lo fa sia su strada sia in pista, badando sempre a come gestire al meglio gli ingaggi e la popolarità.

Ottavio Bottecchia
Foto: Facebook.com/ottavio.bottecchia

Nel 1926 torna in Francia, sperando nel tris. Ormai è un campione affermato, è diventato ricco, ma è anche affaticato.
Forse si pente di aver tentato per la quarta volta il massacrante Tour de France, però l’ingaggio dell’Automoto è di quelli che non si possono rifiutare…
Bottecchia va in crisi sulle montagne dei suoi passati trionfi e il Tour quell’anno lo vince il belga Buysse.

Si può dire che la stella ciclistica di Ottavio Bottecchia si spegne proprio allora: una carriera tutto sommato breve, concentrata in pochi anni, ma quanto mai intensa.
Quel che di lui restano, oltre alle gesta sportive indimenticabili, sono le biciclette che portano il suo nome.

Ma come arrivò un italiano che ha corso con bici francesi a dare il nome a queste storiche biciclette Made in Italy?
Lo si deve a un’intuizione di Teodoro Carnielli, costruttore veneto di biciclette, che riconosce il talento eccezionale di Ottavio Bottecchia fin da giovane ed è uno dei primi a fornirgli una bicicletta su cui correre.
Poi, quando Bottecchia è ormai riconosciuto come un atleta di fama internazionale, gli propone di sfruttare il momento mettendo in produzione una bici Bottecchia.
Il ciclista ne avrebbe guadagnato delle royalties e la piccola azienda artigiana avrebbe potuto fare il salto di qualità.

Foto: Facebook.com/BottecchiaCicli

Purtroppo nel 1927 la vita di Ottavio Bottecchia si spegne, in modo tragico e anche un po’ misterioso.
Tante le ipotesi e le illazioni, mai pienamente confermate, che sono state avanzate sulle circostanze della sua morte: si disse che era stata una spedizione punitiva dei fascisti, si disse che era stato colpito da un contadino perché stava rubando qualcosa nel suo campo, si disse anche che era stato un marito geloso o una storia di scommesse.
La famiglia parlò sempre di un malore a cui era seguita la caduta fatale.

Una fine controversa, dunque, ma in realtà l’unico giallo di cui veramente importa è quello della maglia che indossò tante volte sulle strade polverose di Francia.

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