Il mondiale gravel in Veneto è stato un bell’evento e, da come si può capire dal titolo, non privo di imperfezioni e criticità.

Questo articolo, però, non è pensato per criticare l’organizzazione che, comunque, ha fatto un bel lavoro, ma è pensato, soprattutto, per analizzare le due gare mondiali.
E condividere con i lettori le riflessioni che la redazione di BiciDaStrada.it ha fatto a gare concluse.

Foto UCI – Michal Cerveny

Pozzato & Co hanno fatto un bel lavoro

Si vede che il tracciato iridato è stato pensato da persone che in bici ci vanno e questo, guardando le immagini di gara (quando possibile…), ha fatto colpo sugli spettatori.
Sia fra chi in gravel ci va, sia, soprattutto, in chi la bici gravel ancora non ce l’ha.

Da spettatori, però, per seguire l’evento è necessario un collegamento quanto meno radiofonico con la testa della corsa, in modo che sia possibile capire cosa sta succedendo in gara.
Peccato non proprio veniale, questo, ma che possiamo perdonare all’organizzazione in virtù dell’impegno profuso e per il fatto che si trattava di una prima edizione (e di errori se ne possono commettere molti) e, quindi, sperare che dal prossimo anno (perché spetterà ancora a loro organizzare il mondiale gravel 2023, anche se non è ancora noto dove) ne facciano ammenda.

Foto UCI – Michal Cerveny

Polvere, campagna e zero radioline

Le gare di ciclismo di un tempo erano così: polvere, strade di tutti i giorni e un mix irripetibile e affascinante di tattica e improvvisazione in chi era in sella a pedalare.
Durante lo scorso weekend abbiamo rivisto polvere e strade di campagna, in stile Parigi-Roubaix, ma senza radioline.
E questi tre fattori, oggi, è impossibile vederli insieme in una singola gara.

Il mondiale gravel ha riportato il ciclismo a una dimensione più ancestrale.

Foto UCI – Michal Cerveny

E forse anche più nobile.
Quando la bici era il mezzo di trasporto del popolo.
E suona quasi paradossale che a farlo, oggi, sia l’ultima tipologia di bici comparsa sul mercato, cioè la bici gravel.

Quindi, questo mondiale gravel, impolverato, dallo svolgimento misterioso (perché mancava un vero collegamento mediatico con la gara) e con scenari campestri è piaciuto comunque molto.

Perché il ciclismo ha ritrovato se stesso?
Oppure perché è entusiasmante vedere gente come Van der Poel e Sagan impegnata a correre su strade di campagna in un’occasione che per la prima volta la si può definire istituzionale?

Foto UCI – Michal Cerveny

Oppure per una combinazione di questi e altri fattori ancora?
Il risultato, certo, è che questo evento è piaciuto al pubblico presente e i nostri articoli hanno destato molto interesse.

Servono regole tecniche chiare?

La gamma di scelte tecniche che un professionista del pedale oggi può fare è ampissima.
Dal tipo di telaio alla misura delle gomme.
E questo al mondiale gravel in Veneto si è visto in maniera palese, lasciandoci un po’ interdetti.

“Se è un mondiale gravel si dovrebbe correre con una bici definita gravel e non con una bici da strada con gomme più larghe”

Così come nel ciclocross esistono delle regole tecniche ben precise, ovvero dei “paletti tecnici”, su larghezza delle gomme e del manubrio, ad esempio, anche nel gravel sarebbe il caso di prevederle.
Perché in assenza dei suddetti “paletti tecnici”, i pro’ scelgono, legittimamente, la soluzione tecnica che meglio si addice a quel percorso e alle loro caratteristiche atletiche.

Foto UCI – Michal Cerveny

Ovvero, nel caso del mondiale gravel di ieri, una bici da corsa (Canyon Ultimate CFR) con gomme più larghe (33 mm davanti e 35 mm dietro) come nel caso di Gianni Vermeersch.

Mentre Pauline Ferrand Prevot ha preferito una gravel racing (BMC Kaius 01), con gomme da 35 mm e trasmissione monocorona 40×10-44.
E tutto ciò ha fatto sorgere negli appassionati una domanda alquanto spinosa:

“Ma allora questa bici gravel non serve a nulla?”

Se guardiamo i pro’, nel caso del percorso veneto, no, visto che il fondo stradale era molto battuto e scorrevole.
Ma i pro’ sono i pro’ e le loro scelte tecniche non sono sempre mutuabili-raccomandabili sulle nostre bici.
Senza dimenticare che un percorso tecnicamente più impegnativo forse non avrebbe trovato un’adesione così corposa di partecipanti per la prima edizione del mondiale gravel. Staremo a vedere in futuro…

Foto UCI – Michal Cerveny

E’ doveroso, però, fare anche un’altra considerazione: le motivazioni dei suddetti “paletti tecnici” nel gravel possono venire meno se si ragiona in quest’altra maniera: dato il percorso del mondiale, scelgo la bici che meglio gli si adatta.
Quindi, perché non usare una bici da strada con gomme più larghe?
Il gravel agonistico è, a tutti gli effetti, un foglio bianco sul quale stiamo iniziando ora a scrivere qualcosa.

Senza dimenticare che, comunque, del gravel permane l’anima NON agonistica, ovvero passeggiate, escursioni, bike packing, avventura, turismo e via discorrendo.
Ossia, il volto che ad oggi conosciamo di più.

Foto UCI – Michal Cerveny

Quale formula agonistica per il gravel?

Il mondiale gravel del Veneto si è svolto con un format agonistico che è quello delle gare su strada.
Si parte tutti insieme e vince chi arriva primo sul traguardo.
Ovvero la stessa formula utilizzata nelle varie prove della Gravel World Series.
Cioè una formula che rende le competizioni impegnative, probanti e spettacolari.

Ma siamo certi che funzioni bene anche in campo gravel?

Non tutte le gare gravel che esistono in giro per il mondo propongono questo format.
Alcune, ad esempio, prevedono segmenti cronometrati (o Prove Speciali) che decidono la classifica finale.
Fra una Speciale e l’altra non è gara e l’atmosfera è più conviviale.
Più da evento di aggregazione.
Più da evento Mtb.
La gara stessa è anche un po’ più sicura, perché non ci sono le partenze di massa, magari off-road.

Foto UCI – Michal Cerveny

Diciamo che un format agonistico diverso rispetto a quello road andrebbe valutato, perché magari potrebbe diventare un presupposto cruciale per la diffusione del gravel racing in ambito amatoriale.

Cioè, per creare un movimento vero e organico, che magari generi anche degli specialisti. Movimento che, oggi, non esiste ancora.
Così come è vero che il format di gara visto al mondiale in Veneto ha entusiasmato molte persone e si sta candidando a diventare la formula ufficiale di gara. 

L’arrivo vittorioso di Ferrand-Prevot: su MtbCult abbiamo analizzato la sua stagione fenomenale. Foto UCI – Michal Cerveny

In conclusione…

Davanti abbiamo un foglio ancora quasi del tutto bianco.
Ovvero, quello che è il gravel agonistico deve ancora essere deciso e da queste poche righe, secondo noi, si capisce che ci sono tante opportunità da cogliere ancora. 

Tante scelte che è bene non dare per scontate.

L’Uci dall’alto e gli organizzatori di eventi dal basso hanno ancora la possibilità di trovare la definizione di “gravel agonistico”.
E potrebbe non esistere un’unica definizione, ma un concetto aperto a molteplici interpretazioni in base all’orografia e alla cultura ciclistica del luogo, senza dimenticare eventuali direttive dell’Uci.
Siamo davvero curiosi di vedere cosa succederà.

Qui tutti i nostri articoli sul mondiale gravel in Veneto e qui i nostri contenuti sulle gravel bike.