Martedì, inverno pieno, ma con un sole che fa spallucce alla primavera.
Esco in bici per un paio d'ore. È questa romantica cornice ad aver ispirato la domanda di questo racconto: gli angeli vanno in bicicletta?
Io non ho troppi dubbi e di seguito vi spiego perché...
Lungo la Val d'Adige quando c'è profumo di mezza stagione il vento inizia a diventare un po' più intenso del solito. Se poi le giornate sono terse, le temperature miti e la tendenza del meteo è buona si sa già che bisogna soffrire per via del vento forte.
Aggancio gli scarpini, parto. Direzione Lago di Garda.
Le gambe girano come un mulinello. Guardo il rapporto in canna sul ciclocomputer, mi sento leggero ed efficiente come ai vecchi tempi nonostante abbia ripreso da poco ad allenarmi con regolarità.
Annuso l'inganno e aspetto il mio classico punto di controllo: una bandiera della Coldiretti posta a bordo strada tra vigne e meleti. Baluardo agricolo e ciclistico. Grazie a questa bandiera un po' sfilacciata e sbiadita ho imparato a leggere il vento. La guardo sempre ogni volta che ci passo a fianco a prescindere dalle condizioni.
Viaggio in totale relax ad andatura da fondo lento-Z2, ma a 38-39 km/h. Mi sento ad un metro da terra.
L'incanto dura poco perché la mente sgonfia i miei sogni e mi porta già al giro di boa, sulla strada del ritorno da affrontare in senso inverso.
Un cambio di rotta che arriva presto così come i battiti che si alzano e le prime sventagliate.
Sono riparato da case e vegetazione. Faccio fatica a rimanere sulla soglia dei 30 km/h, ma non mollo. Guardo i battiti e sento il corpo che trova il nuovo regime. Esco dal centro abitato e la valle si apre.
Sto percorrendo un tratto della Ciclopista del Sole che unisce il Brennero alla Sicilia anche se io sto salendo verso nord e la ciclopista in realtà è una ciclopedonale ad uso promiscuo...
Il vento suona come una condanna.
Sfida, provoca, danneggia: le gambe, i muscoli, il morale più di tutto. Tengo duro anche se il mio sogno di tenere i 30 km/h va in fumo: un obbligo se voglio arrivare a casa pedalando.
La leggerezza da poco vissuta sembra un ricordo, un'altra vita ed io aspetto la sua reincarnazione, ma intanto soffro. Tiro giù un dente, faccio il duro.
Le gambe iniziano ad incatramarsi e mi viene in mente il vecchio adagio dei "boccettini". "Metti un rapporto più agile che ti stai imballando, forza" anche se io il mio "boccettino" (era pure quello lungo) l'ho già preso.
Rimango aggrappato con le unghie ad una situazione infame perché il vento soffia a folate e non è mai stabile. Mi sento come Manolo che arrampica senza imbrago, ma la sua sicurezza la sento lontana anni luce.
Guardo giù: sento e vedo il mio precipizio.
Affianco una signora in sella ad una bici da strada, la saluto a stento, lei non si mette nemmeno a ruota. Io proseguo con il mio passo.
Ad un certo punto mi passa un signore ben piazzato. Bici rim brake con Campagnolo Chorus 11v, telaio riverniciato con finitura camouflage. Mena come un fabbro nonostante tutto e non cede. Mi metto a ruota e faccio ancora fatica! Ma... sono a 33 km/h.
Penso alla mia personale sconfitta anche se in fin dei conti mi interessa di più portare a casa la pelle.
Due/tre minuti e mi ripiglio. Cerco di far girare il fiato e le gambe all'unisono e trovo la mia dimensione. Sempre a ruota ci mancherebbe.
Il ciclista davanti a me prosegue la sua corsa, segnala buche e pedoni con il classico gesto della mano. Non dice nulla, non si gira, ma sa che ci sono.
Mi vengono in mente tutte le volte che ho portato a spasso ciclisti e gruppetti (bei tempi) ed in fin dei conti anche io facevo così. Tra me e me capisco che sto ricevendo cento volte tanto.
Arrivo a pochi chilometri da casa, lui svolta a sinistra, io proseguo dritto. Mezza pedalata e lo affianco. Lo ringrazio per l'aiuto. Lui si volta con espressione sorpresa: "Prego e di che, figurati". A quel punto sento montare una sensazione di gratitudine quella che muove dai gesti di semplice reciprocità. Vorrei offrirgli l'aperitivo che inaugura le ferie, il cenone di Capodanno, il pranzo di Pasqua, la grigliata di Ferragosto tutt'assieme.
Ma l'attimo è già fuggito. Io, in un lampo, capisco che anche gli angeli vanno in bicicletta.
Qui tutte le nostre storie di strada.
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Sull'autore
Giovanni Bettini
"I poveri sono matti" diceva Zavattini. Anche i ciclisti oserei dire. Sono diventato "pazzo" guardando Marco Pantani al Tour de France 1997 anche se a dire il vero qualcosa dentro si era già mosso con la mitica tappa di Chiappucci al Sestriere. Prima le gare poi le esperienze in alcune aziende del settore e le collaborazioni con le testate specializzate. La bici da strada è passione. E attenzione: passione deriva dal greco pathos, sofferenza e grande emozione.