Ieri al Tour è successa una cosa bella.
Ne hanno parlato tutti, dagli addetti ai lavori ai pensionati nei bar e naturalmente ne hanno parlato gli utenti dei social: la foto di Vingegaard e Pogačar, il primo che aspetta l'altro e poi gli tende la mano, ha fatto letteralmente il giro del web.
Ma perché ci piace tanto questa immagine, perché è diventata “virale”, perché ci siamo fermati a guardarla e riguardarla?
Per capirlo, partiamo da una domanda: cos’è il ciclismo, in fondo? O meglio, cosa ci aspettiamo che sia?
Ieri al Tour, due ciclisti - uno in maglia gialla, uno in maglia bianca - battagliavano per la vittoria, uno attaccava e l’altro rispondeva, uno inseguiva e l’altro non cedeva, fino a che in discesa quello in maglia bianca è scivolato ed è caduto.
Quello in maglia gialla, allora, ha rallentato e, mentre l’altro si rialzava e cercava di recuperare, lui si è voltato indietro e lo ha aspettato.
Poteva approfittare, poteva allungare, e invece ha aspettato.
Sembra una cosa banale, ma c’è l’essenza di tutto…
Quando l’avversario lo ha raggiunto, si sono tesi le mani, l’hanno strette, si sono guardati, «Tutto bene?» «Sì, grazie» e poi via, ciascuno a fare la sua gara, a correre verso il traguardo, per battere l’altro, ma senza approfittare di una debolezza.
Due ciclisti, due avversari, uno primo e l’altro secondo in classifica generale, Vingegaard e Pogačar, 25 anni l’uno e 23 l’altro.
Per un momento, sono soltanto due ragazzi, in sella a una bicicletta, uno cade e l’altro lo aspetta, con lo sguardo si rassicurano a vicenda.
Per un momento, non ci sono più gli sponsor, le squadre, le telecamere, la corsa più importante del mondo.
C’è un ragazzo che fa un gesto semplice, spontaneo, gentile verso un altro ragazzo che non è solo un avversario ma un compagno di strada: in entrambi, la stessa fatica, la stessa caparbietà, il talento e la gioventù che esplodono, lo stesso sogno che si avvera.
Ecco, in quel momento lì, i due si sono riconosciuti - il danese e lo sloveno - e tutti noi ci siamo riconosciuti in quella passione condivisa, in quella umanità non più trattenuta, in quello sguardo d’intesa e in quella stretta di mano.
Chissà se questa foto con le mani strette scavalcherà gli anni come quella oramai mitica di Coppi e Bartali che si passano la borraccia, di certo c’è un filo rosso che lega le due istantanee: la lealtà, il rispetto, il gioco pulito a volte valgono di più, infinitamente di più, dei soldi, del successo, persino della vittoria.
Anche se magari solo per un momento.
Ecco, questo è il ciclismo che ci aspettiamo, che ci emoziona, che travalica tutti i confini e va oltre i numeri ed i watt.
Ce lo hanno ricordato ieri due ragazzi, Vingegaard e Pogačar, forse senza neanche rendersi conto.
Grazie, ne avevamo bisogno.
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Sull'autore
Veronica Micozzi
Mi piace leggere, scrivere, ascoltare. Mi piacciono le storie. Mi piace lo sport. Mi piacciono le novità. Mi piace la sana follia che anima i seguaci della bici. E credo di aver capito perché vi (ci) piace tanto la bicicletta, al di là della tecnica, delle capacità, dell’agonismo: è per quella libertà, o illusione, di poter andare ovunque, di poter raggiungere qualsiasi vetta, di poter superare i propri limiti che solo le due ruote sanno regalarti…