Capita anche a voi di chiedervi se non stiamo perdendo la capacità di improvvisare e di comportarci troppo come se fossimo tutti professionisti?

Lo scorso week end ho chiesto alla mia amica Alessandra se le andava di approfittare delle prime giornate di tepore primaverile per un bel lungo lento panoramico.
– Mi spiace, domani devo fare un’ora e mezza.

Non sapevo che Alessandra avesse un preparatore. Ho pensato che volesse cimentarsi nelle gare di stagione, anche se non mi era mai sembrata il tipo.
In realtà Alessandra non ha obiettivi specifici, però nel suo gruppo è rimasta l’unica senza preparatore.
– Vedo tutti così focalizzati sugli allenamenti, mi sentivo quasi fuori posto. Va beh, male non mi fa, migliorerò un po’.

L’episodio era stato preceduto due settimane prima da uno scambio di messaggi con Valentino, altro compagno di pedalate da una vita.
– Vale, domenica prossima c’è la nostra granfondo preferita! Che ne dici di andare a farla insieme in nome dei vecchi tempi?
– Mi piacerebbe ma sulla bici nuova ho delle ruote pessime, non ho ancora avuto modo di prendere qualcosa di più performante, non è roba per correre.
– Vale ma si va per fare un giro, chi se ne frega delle ruote?
– No, guarda, poi non mi diverto a fare le cose così “a caso”.

Il bello delle cose “a caso”

Mi è venuto in mente che l’uscita più divertente dello scorso inverno è stata una gara di ciclocross fatta completamente “a caso” con mio marito.
Erano gli ultimi giorni di ferie natalizie, che ci lasciavamo imbottiti di panettone e cappelletti.

Quella volta ero stata io a protestare.
-Ma non abbiamo le bici adatte, la mia gravel è troppo pesante, e poi non siamo preparati.
-Chi se ne frega, andiamo a vedere, sarà divertente.

tutti professionisti
La nostra unica preparazione per la gara di ciclocross è stata caricare le bici in camper

In effetti, a dirla tutta, io sono morta di fatica per finire la gara e mio marito si è ritirato dopo due giri del circuito.
Che non fossimo preparati lo sapevamo, ma non ci siamo fatti fermare, e ci siamo divertiti come due ragazzini.
Coperta di fango e quasi ultima sulla linea del traguardo mi sono sentita soddisfatta come non mi capitava da tempo partecipando ad un evento.

tutti professionisti
Sporca, stanca e soddisfatta dopo una gara completamente improvvisata

É andata un po’ allo stesso modo al primo evento gravel a cui ho partecipato un paio di anni fa.
In quel periodo ero piuttosto allenata su strada, ma ho corso con una bici pesantissima, e sono partita con l’intenzione di godermi la pedalata e i panorami.

tutti professionisti
Il primo evento gravel a cui ho partecipato con una bici in prestito è stata la Nova Eroica a Buonconvento

Dopo essermi fermata ai primi tre ristori con tutta la calma del mondo ho però deciso che forse non ero messa così male nella classifica femminile.
Sono entrata quindi in modalità agonistica nell’ultimo terzo del percorso, chiudendo in decima posizione con tanto di panino al salame e bicchiere di vino all’attivo.

tutti professionisti
Colti in flagrante al ristoro prima di realizzare che potevo provare a far classifica

Un altro episodio che mi piace raccontare e che ricordo molto meglio di tante granfondo preparate con cura.

Non staremo un tantino esagerando?

Quello che voglio dire è: non staremo finendo col perdere il gusto di fare le cose, con tutta questa serietà?
Quando qualcosa ci appassiona è normale e giusto farsi prendere la mano, dedicarsi anima e corpo a quello che ci piace e ci fa stare bene.

Ma non facciamolo diventare un limite.
Ricordiamoci che a volte bisogna buttarsi.

Che siamo solo dei dilettanti, e quello che ci appassiona non deve diventare un lavoro.
Che si può anche solo provare.
E che si può fallire.
Che ci si può anche far ridere dietro.

Da bambina accompagnavo spesso mio padre che correva a piedi alle garette della domenica.
Ricordo che la maggior parte dei podisti avevano ai piedi scarpe tipo Superga e indossavano le stesse magliette e pantaloncini di cotone con cui sarebbero andati in spiaggia.

Lo sport amatoriale era una cosa ancora relativamente giovane.
Quelle gare erano un ritrovo per le famiglie e un modo per fare qualcosa di divertente insieme.
E io credo che dovrebbe ancora essere così, nello sport e in tante altre cose.

Fate le cose a modo vostro

Al giorno d’oggi facciamo corsi e paghiamo esperti per fare qualunque cosa.
Anche le cose più semplici e basilari, come mangiare e respirare.
La disponibilità di informazioni in rete su qualunque cosa è un grande vantaggio, ma può rappresentare anche una sorta di sbarramento di ingresso per qualunque nuova avventura in cui cimentarci.

La sensazione è quella di dover riempire una serie di requisiti per sentirsi legittimati a fare qualcosa.
Questo la dice lunga, io credo, su quanto in realtà siamo diventati insicuri e anche su quanto abbiamo bisogno di riconoscimento.

Il caro vecchio buonsenso ci dice però che bisogna anche saper distinguere quando e quanto tutte queste informazioni si applicano al nostro caso.
Fate le cose a modo vostro.
Pagate quello che vi serve davvero.
Investite in ciò che vi dà soddisfazione.

Non lasciate che siano gli altri o che sia l’ambiente che vi circonda a dirvi cosa vi serve e a imporvi di comportarvi in un certo modo per fare qualcosa.

Evviva il dilettantismo

La deriva verso una forma di professionismo dei dilettanti in certi ambienti è qualcosa che non comprendo.
Prima di tutto perché mi sembra che stia togliendo gioia e divertimento a quello che dovrebbe essere il nostro spazio di libertà e di creatività.
Se lasciamo che la performance detti le regole di ogni ambito della nostra vita, non avremo più un luogo in cui riposarci.

Mi si dirà che per molti dedicare estrema cura e attenzione alla propria passione è proprio un modo di riposarsi da tutto il resto.
Peccato che la mia sensazione guardandomi intorno è che ci stiamo solo costruendo un alibi.
Un alibi che ci serve proprio per non sfuggire a quei meccanismi di misurazione della performance su cui abbiamo imparato a misurare noi stessi.

Si parla tanto di uscire dalla propria zona di comfort.
Ma se questo significasse in realtà tornare solo a improvvisare un po’ di più?
Spingere oltre il limite, migliorare sempre se stessi, dare il massimo e il meglio di sé…
A me suona come retorica utile al mondo produttivo in cui viviamo.
E se invece tornassimo a divertirci un po’ di più, almeno quando siamo in sella?

Il bello della bici da strada è…