Chiara Ciuffini – che abbiamo imparato a conoscere attraverso i suoi racconti da vera “innamorata” del ciclismo – ci porta questa volta a vivere insieme a lei due tra le Classiche più affascinanti: prima la Granfondo Strade Bianche in Toscana, il 12 settembre, e poi il Giro delle Fiandre amatori in Belgio, il 18 settembre.

Chiara confessa che, quando si è avvicinata al ciclismo circa 12 anni fa, il periodo delle Classiche (che solitamente era la primavera) era quello in cui non poteva fare a meno di restare incollata alla tv per seguire tutte le gare.
Ed ora, ritrovarsi su quelle strade viste tante volte sullo schermo è stata per lei una grandissima emozione. Emozione che ha cercato di trasmetterci nella sua storia.
VM

 Strade Bianche alle Fiandre

Quest’anno ho avuto una grande fortuna.
Quella di poter realizzare un sogno.
Il sogno di poter vivere due delle Classiche più belle del nostro ciclismo.
La prima, relativamente giovane, nata solo 14 anni fa, “Le Strade Bianche“; la seconda, la Classica delle Classiche, la “La Ronde Van Vlanderen“, ovvero il Fiandre.
La prima definita la Classica del Nord più a sud d’Europa, la seconda la Classica per eccellenza arrivata alla centocinquesima edizione; la prima nella polvere, la seconda sulle pietre.

 Strade Bianche alle Fiandre




Le Strade Bianche

Ero iscritta alla Strade Bianche dal 2020 e la sognavo da quel marzo, mese in cui ci ritrovammo tutti chiusi in casa, proprio a pochi giorni dalla gara.

La sognavo perché nelle sue edizioni precedenti mi aveva emozionato tantissimo, perché rappresenta per me la gara che esce fuori dagli schemi, dalla “comfort zone”.
Una gara che oltre all’allenamento è influenzata da tante altre variabili: meteo, terreno, pneumatici, capacità di guida e fortuna (che non guasta mai).
L’avevo percorsa sia con la pioggia che con l’asciutto, ma sempre nel giorno successivo la prova dei professionisti.

Foto Sportograf

 

Quest’anno ho trovato un terreno ancora diverso, a fine estate, dopo ben più di 4 mesi di siccità.
Entrando nella provincia senese, infatti, il colore predominante era il giallo e la polvere si alzava sovente dalle strade bianche al passare delle auto.
Le strade nei dintorni di Siena erano aride, con tanta terra smossa e non compatta e i solchi che si erano formati al passaggio dei veicoli erano diventati duri come il cemento.

Durante la social ride del sabato con gli amici di Sportful abbiamo notato come il terreno era notevolmente più tecnico e difficile da gestire, ma percorrere quelle colline ha comunque un fascino difficile da spiegare a parole.

Foto Sportograf

La consegna dei pettorali, come sempre, è avvenuta nella Fortezza medicea di Siena.
Dopo aver ritirato il mio pettorale, mi sono recata a piedi verso Piazza del Campo, e arrivando da un arco laterale, mi si è aperta davanti quasi all’improvviso la meraviglia di questa piazza e del campanile che la sovrasta.

Mi sono soffermata a guardare l’arrivo e il punto in cui sbuca lo strappo di “Santa Caterina”, proprio quello in cui quest’anno abbiamo visto scattare Van Der Poel.
Quando sei lì, in quei luoghi, non puoi non pensare a quegli arrivi, da Moser a Cancellara, da Van Aert ad Alaphilippe, e tutti gli altri che noi amatori guardiamo con ammirazione e un pizzico di spirito di emulazione.

La domenica, la partenza della Granfondo è stata sempre dalle mura della Fortezza medicea.
Confesso di essere arrivata in griglia con una fortissima emozione, gli occhi lucidi e un po’ di paura, quasi fosse stata la prima granfondo per me.
Nascondevo il viso dietro la mascherina per non far trasparire ciò che stavo provando.
Ero di nuovo in partenza per la granfondo più epica che c’è in Italia.

Pronti, via!
Giù in picchiata ed è iniziata la gara, i momenti della competizione non sto qui a raccontarli perché mi sembrano inutili da menzionare rispetto alle emozioni che ho provato su quelle strade.
Il primo tratto di sterrato, come sempre, è passato sotto le ruote tra panico e incertezza, poi mi son goduta la bellezza della polvere che saliva, le ruote che saltellavano incerte, a tratti affondando nel ghiaione, a tratti dure sui solchi del terreno, le salite in cui si slittava e si arrancava e le discese per le quali c’era un misto di prudenza e voglia di lasciarsi andare.
E poi… quelle rampe ripide in cui il pensiero andava a loro, ai professionisti, e a come volavano in questi tratti davanti a cui io invece mi piantavo.

Foto Sportograf

La strada scorreva veloce, ho avuto una foratura superata grazie all’assistenza della macchina Shimano al seguito, finché mi sono ritrovata ai meno 15 km, in vista di Siena.
Qualche altro strappo prima di arrivare all’ingresso della città antica, dove il cuore ha iniziato a battere più forte, un po’ per la grande emozione e un po’ per la dura salita.

Lo strappo di Santa Caterina è unico.
C’è sempre tanta gente, che è lì ad incitarti, a gridare, a spingerti con la voce, e, quasi senza rendermi conto, ero in piedi sui pedali, salivo e sorridevo.
Alla fine dello strappo, due curve sul selciato e infine ecco davanti a me Piazza del Campo.
Il cuore esplodeva di emozione e gli occhi si sono fatti lucidi.

Credo che la sensazione sia la stessa per tutti i ciclisti che entrano in quella piazza.
Che tu sia primo o ultimo, hai la consapevolezza di poterti sentire un piccolo eroe: l’hai conquistata quella piazza, tra le mille difficoltà ed incognite di un tracciato epico.
L’hai fatta tua.

Foto Sportograf

Ronde Van Vlanderen, il Giro delle Fiandre

Solo pochi giorni dopo la Strade Bianche mi sono ritrovata in aeroporto, in partenza per il Belgio. Direzione, Ronde Van Vlanderen.
La Classica per eccellenza.

Appena un’ora e mezza di volo per atterrare in una terra dove la bicicletta è assoluto protagonista.
E’ incredibile come la mobilità risulti già dalla prima occhiata per lo più legata alle due ruote: intere aree adibite al parcheggio bici, ciclabili ovunque e sopratutto rispetto.
Il ciclista e il pedone hanno sempre la precedenza su tutti gli altri veicoli.

Al venerdì mattina insieme al gruppo Sportful abbiamo programmato una social ride, obiettivo: Oude Kwaremont, una delle salite simbolo delle Fiandre.
Le classiche stradine del Belgio erano proprio come le immaginavo: scorrono strette tra le campagne, svolte secche, tratti in pavé, stalle e vecchi mulini, casine basse con il tetto spiovente, tutte una di fianco all’altra.

Ad un tratto, grazie alla preziosa guida di chi qui ha pedalato e mangiato tanta polvere, Paolo Bettini, ci siamo ritrovati ai piedi del muro.
Nel leggere la scritta Oude Kwaremont un brivido di emozione mi ha assalita.

 Strade Bianche alle Fiandre
Chiara Ciuffini con Paolo Bettini

Ero lì… ero su quelle pietre storiche, quasi incredula, e confesso di essermi fermata più volte, quasi per osservarle più da vicino.
La bici era come piantata, non andavo avanti e in quel momento ho capito ciò che mi era stato detto a parole: su queste pietre ci vuole mestiere.
Bisogna saper guidare e galleggiare sul pavé.
Bisogna saper aggredire delicatamente questo terreno.

Dopo 12 anni ho messo piede all’università del ciclismo e mi sono resa conto di essere incredibilmente impreparata.
Avevo i polsi indolenziti solo dopo 1 chilometro e la sensazione di pedalare al massimo ma rimanere sempre nello stesso punto.

Per la “We ride Flanders” si adotta un format diverso da quello a cui siamo abituati: via le classifiche, partenza alla francese e ognuno può scegliere andatura, tempi e percorso da fare.
Ci son ben 4 percorsi tra cui scegliere: il primo, il più lungo, di 217 km con partenza da Antewerp (città raggiungibile tramite navette messe a disposizione dall’organizzazione) e arrivo ad Oudeenarde.
Poi altri 3 percorsi da 72, 136, 177 km con partenza e arrivo ad Oudeenarde.
Io ho scelto il percorso da 136 km che comprende tutti i muri del Fiandre dei professionisti, ma elimina la prima parte “pianeggiante”.

Partenza senza fretta, a discrezione di ogni partecipante.
Si pedalava in mezzo a tanti gruppi più o meno veloci, con ogni tipo di bici ed equipaggiamento, in un ambiente dove nessuno si sentirà mai fuori luogo.
Ognuno al suo passo ma tutti con un gran sorriso.

Poi abbiamo cominciato a scalare i muri: Wolvemberg, Molemberg, Berendries, Valkemberg, Koppenberg…
Uno dopo l’altro mi hanno devastato, non avrei mai pensato fosse così dura.
E il pensiero andava alle gare che vedevo in tv e a come i Pro’ volavano su quelle pietre, mentre io mi sentivo piantata come se le ruote fossero incollate al suolo.

Ogni circa 30 km c’era un ristoro, all’interno un mini villaggio con assistenza tecnica Shimano e musica.
La gara è organizzata in maniera esemplare, ristori perfetti, incroci presidiati e precedenza alle bici sempre. Ero sfinita ma felice, volevo portare a termine il mio sogno.

Dopo 136 km, a Oudeenarde, io e i miei compagni di avventura siamo arrivati in parata.
Avevo quasi le lacrime agli occhi: ho vissuto un viaggio che mi è sembrato infinito, ma stupendo e che rimarrà sempre dentro di me.

Ho visto donne, giovani, meno giovani e bambini, tutti percorrere le stesse strade, bici muscolari, bici elettriche, gravel, bici da strada, Mtb, bici di ogni tipo una accanto all’altra, senza che nessuno si sentisse fuori posto.
All’arrivo, una festa: tutti felici, tutti insieme con birra e salsiccia!

Il Belgio mi ha lasciato un ricordo indelebile di ciclismo vero, di passione e amore puro per la bicicletta, di rispetto e cultura.

QUI trovate altre storie di strada pubblicate su BiciDaStrada.it