Mi affaccio dalla finestra.
Un bel sole e temperatura vicina ai 20 gradi.

Se fosse una primavera normale, in questi giorni inizierei davvero a godermi gli allenamenti in bici e lo splendore della natura.
Ma non è una primavera normale.
E’ una di quelle che, di sicuro, tra qualche anno ritroveremo sui libri di storia.
E per noi è dentro casa la sfida più grande…

La voglia di uscire è tanta, ma non si può.
Nei primi giorni di blocco, devo essere onesto, sono stato più volte tentato di inforcare la bici per un breve giretto, anche senza allontanarmi da casa.
D’altronde la legge sembrava permetterlo.

dentro casa la sfida più grande




Ma alla fine ho desistito e, vi assicuro, non l’ho fatto senza “soffrire” (senza che nessuno si offenda, parliamo di sofferenza sportiva, che nulla ha a che vedere con quella di chi è malato o lavora in prima linea).

Con il passare dei giorni il governo ha reso sempre più esplicito il divieto di girare in bici, almeno per chi la usa per diletto o allenamento (ad eccezione dei professionisti, che comunque hanno deciso spontaneamente di rinunciare a questa possibilità).

Ma a prescindere dai divieti del DPCM (non sempre chiarissimi), di giorno in giorno è cresciuta la mia consapevolezza sull’importanza di restare a casa.
Una posizione condivisa in pieno da tutti i componenti delle redazioni di BiciDaStrada.it, MtbCult ed EbikeCult.

Restiamo a casa, a prescindere dalle leggi e dai decreti.
Lo so, è dura, ma se avete voglia di continuare a leggere, vi spiego perché è diventato così importante non uscire.

dentro casa la sfida più grande

SENSO CIVICO E BUON ESEMPIO
Lasciamo da parte per un attimo i divieti del DPCM, che comunque si stanno facendo sempre più stringenti.
E’ vero, se usciamo in solitaria e in luoghi isolati non rischiamo di contrarre il virus e non possiamo contagiare nessuno.

Ma che esempio diamo?
Tutti (o quasi) in questo momento stanno facendo la propria parte e c’è bisogno anche del nostro impegno.
Se noi ci muoviamo per strada, anche altri si sentiranno autorizzati a farlo, creando un circolo vizioso senza fine.

Uscire bene da questa “guerra” non dipende solo da noi, ma anche da noi.
Facciamo la nostra parte e diamo il buon esempio, come già stanno facendo molti pro’.

EMPATIA
La situazione è delicata ed eccezionale.
In molte zone d’Italia non è esagerato definirla drammatica.
Tante persone stanno soffrendo. Tante non ce la fanno.

Medici e infermieri (e più in generale tutto il personale degli ospedali) stanno facendo cose straordinarie, mettendo a rischio la salute e sacrificando affetti e famiglie.

Forse non possiamo fare qualcosa di concreto per loro, ma possiamo fargli sentire la nostra vicinanza, mostrargli che siamo tutti parte di una stessa squadra.
“Perché i nostri successi nel mondo – citando le parole di Renato Di Rocco, presidente dalla FCI – ci hanno insegnato che solo se fai squadra vinci. Noi ci siamo abituati: è la legge del ciclismo. Ma oggi è la legge che vale per tutti. Per poter scollinare e raggiungere il traguardo insieme, ognuno di noi deve sacrificare qualcosa che ci appartiene, deve rinunciare a pedalare all’aria aperta, sulle strade d’Italia.

Non vi chiedo di smettere di vivere, ma solo di avere rispetto per queste persone.
Lo stesso rispetto che noi, a testa più alta, potremo chiedere sulle strade quanto tutto sarà finito.

RISCHIO DI INFORTUNI
Se il senso civico e il rispetto non vi sembrano sufficienti, passiamo a qualcosa di più concreto.
Il ciclismo, anche con tutte le attenzioni del caso, è un’attività rischiosa e soggetta a possibili incidenti (spesso legati alla casualità o a fattori fuori dal nostro controllo).

Un infortunio, anche banale, ma che vi richieda di andare al Pronto Soccorso, comporterebbe lavoro in più al personale sanitario già allo stremo delle forze.
Senza contare che l’ambiente ospedaliero vi esporrebbe ad un maggiore rischio di contagio, nonostante tutte le precauzioni del caso.

Anche ammesso che la legge lo consenta, che piacere si può avere a pedalare con questo patema d’animo?

dentro casa la sfida più grande

TUTELIAMO L’IMMAGINE DELLA CATEGORIA
Diciamo la verità, già non siamo una categoria amata da tutti.
Stiamo faticosamente cercando di ottenere più rispetto in strada e di stemperare quel clima di odio e tensione che si respira tra ciclisti e automobilisti.

Continuare a farsi vedere in giro in questo momento, quando tutti chiedono di stare a casa, provoca un danno all’immagine di tutta la categoria, che ci porteremo dietro per anni.
Anche se la legge lo consente, si tratta di un comportamento irresponsabile, che ci rende odiosi agli occhi della gente.

So che la maggior parte di noi lo ha già capito, ma cerchiamo di convincere anche chi ancora insiste, perché l’atteggiamento di pochi ha effetti negativi su tutti gli altri.
Mi piacerebbe che l’essere ciclista fosse un motivo d’orgoglio, non una cosa di cui vergognarsi.

STIAMO A CASA, MA NON SMETTIAMO DI PEDALARE
Non dobbiamo uscire in bici all’aperto, ma non per questo dobbiamo smettere di pedalare.
Continuiamo a mulinare sui rulli, non tanto per allenarci per un futuro chissà quanto incerto, ma per avere una valvola di sfogo quotidiana, per scaricare la tensione, per assaporare il gusto della fatica che tanto ci piace.
Forse con meno divertimento, ma sapendo di fare la cosa giusta…

Il comportamento di ognuno di noi influisce sulla diffusione o sulla regressione del Covid-19.
Restiamo a casa oggi, per correre più veloci e più felici domani.

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