Caro Davide, ti scrivo, ti scriviamo.
Vogliamo dirti una cosa. Ci siamo e ci saremo ovunque tu sia.
Sappiamo che sei lassù assieme ai Campioni, al fianco di Michele Scarponi.
Campioni del ciclismo e non solo. Uomini e Donne di valore che hanno fatto la storia fosse solo con gesti semplici e quotidiani. Per voi c’è solo un posto: il Paradiso.

Caro Davide, siamo rimasti attoniti. Impietriti di fronte alla notizia battuta dal Giornale di Vicenza. Abbiamo fatto fatica a rilanciare. Abbiamo cercato quella fonte in grado di non confermare il fatto.

Ti abbiamo chiamato, abbiamo chiamato tuo fratello Carlo, abbiamo chiamato al bar di tuo fratello Carlo: “Ultima Tappa”. Anche se un’ultima tappa in fondo non c’è. Perché la corsa per gli agonisti non finisce mai. C’è sempre qualcosa da migliorare, scoprire, esplorare. Come stavi già iniziando a fare tu. Un nuova vita, ma sempre in sella. In sella a quelle bici Dynatek che stavano diventando sempre più “tue” al di là degli affari.
Abbiamo chiamato senza ricevere riscontri. Abbiamo chiesto e richiesto fino a trovare la risposta.

Caro Davide: le strade sono pericolose, per tutti. Per noi ciclisti un po’ di più e sempre di più. Abbiamo dentro tante domande e poche risposte. O meglio, ne abbiamo una. Basta e avanza.

Chi ti ha conosciuto da vicino, in bici, ad un evento, alle corse, lo sa… Rispetto, umiltà, pacatezza, dedizione, altruismo. Abbiamo chiesto anche agli addetti ai lavori. Giornalisti e Direttori Sportivi che ti hanno visto crescere. “Davide? Non lo abbiamo mai visto arrabbiato”. Parere unanime. Ci mettiamo dentro anche quattro parole di Edoardo Zardini, ciclista pro’ del team Drone Hopper-Androni Giocattoli: “Insegnavi stando in silenzio”. Serve tutto questo a conti fatti, ora più che mai.

Raffaele “Lello” Ferrara ha scritto questo messaggio. Tu e lui, in bici e al di fuori, siete sempre stati l’alter e l’ego. Avete condiviso molto.
«Tu che mi chiedevi per cortesia se potevo impegnarmi, fare la vita dell’atleta e allenarmi. Tu che mi dicevi “chiamami RAF se hai bisogno”. Tu che facevi beneficenza senza che nessuno lo sapesse. Tu che mi chiamavi se non mi vedevi in fondo alla strada di casa tua e ti preoccupavi».

 

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Caro Davide, il nostro non vuole essere un ricordo, una memoria.
Sei parte dell’ultima generazione di fenomeni del ciclismo italiano: Pantani, Simoni, Rebellin e tanti altri.
“Rebellin da junior era già due spanne sopra gli altri – ci hanno detto -. Era come veder correre un dilettante contro un allievo. Tanta classe, al punto che era in grado di vincere ogni domenica e forse non lo faceva per rispetto. Perché andava già bene così”.
E poi ancora.
“Al Circuito Internazionale di Caneva. Sulla salita del Castello mi scende la catena. Provo a rimetterla in sede e niente da fare. Un attimo dopo sento il tocco di una mano. Mi volto e vedo Davide, in salita, che mi spinge e mi incita a tener duro nonostante tutto. Non eravamo compagni di squadra”.

Foto: Salvaguardia e Tutela Davide Rebellin

Caro Davide, gli occhiali risposti dietro con la stanghetta dentro il colletto hanno fatto scuola quando la corsa diventava dura ed i caschi non erano ancora del tutto ottimizzati per questo scopo.
L’occhiale “alla Rebellin”… Forse non era la bandana di Pantani, ma un’intera generazione di ciclisti in Veneto e oltre confine sa di cosa stiamo parlando.

Nel 2003 con la maglia del Team Gerolsteiner. Foto: gentile concessione Gaerne

Caro Davide, i tuoi percorsi raccontano l’odissea e la bellezza della vita.
D’altronde chi è senza peccato scagli la prima pietra. Per dirla secondo quell’educazione cristiana che ha sempre pervaso la tua famiglia al punto che: «Credo in Dio. Quando posso vado a messa».

I fratelli Rebellin: Carlo, Davide e Simone più il Rebellin Market gestito da papà Gedeone, lì accanto a te. Gedeone papà e sponsor. Sponsor ed accompagnatore anche quando avevi già spiccato il volo con Carlo, undici anni più piccolo di te, che iniziava a fare sul serio.
Che bella quell’intervista dopo i fatti di Pechino.

«Mi ricordo i primi tempi: quando arrivavo terzo o quarto mi mettevo a piangere perché non avevo vinto o perché la gara non era andata come volevo io». «Se facessi un passo indietro valuterei bene la cosa… Ero talmente fissato con il ciclismo e la bicicletta al punto da dimenticare parte di quello che la vita è. Il “vecchio Davide” era solo una persona a metà».
A volte le botte servono davvero per morire, capire e risorgere.

Con mamma e papà. Foto: @davide.rebellin

Caro Davide, serve un po’ di te al giorno d’oggi.
Caro Davide, abbiamo cercato e scritto. Visto ed ascoltato. Ora un po’ di silenzio, ma prima un’ultima cosa.
Ci sei e ci sarai sempre. Con noi lungo la strada.

Foto in apertura: @davide.rebellin