E’ passato poco più di un mese dalla venticinquesima edizione de L’Eroica, che ha portato oltre 8.000 ciclisti tra le colline del Chianti, di cui quasi il 40% provenienti dall’estero.
Un rito che si ripete ogni anno e che ha reso Gaiole l’Ombelico del mondo del ciclismo eroico. Ma forse si potrebbe dire del ciclismo in generale.

Niente classifiche, niente agonismo, ma solo sfida con se stessi e gusto di pedalare in un’atmosfera unica. Fatica, sorrisi, condivisione di una passione. E’ questa la ricetta del successo che ha portato L’Eroica 2022 a superare il record d’iscritti in un anno in cui quasi tutti gli eventi hanno subito una flessione.

Il ciclismo secondo Brocci
Foto Paolo Penni Martelli

Come vi avevo accennato nell’articolo fotografico su L’Eroica XXV, ogni volta che vengo qui mi domando cosa sia passato per la testa di Giancarlo Brocci, ideatore della manifestazione, in quel 1997.
E così, per porgli questa e molte altre domande, sono venuto a Gaiole in Chianti in una piovosa mattina di novembre.
Abbiamo parlato di Eroica, ma anche di ciclismo in generale, antico e moderno, di fatti belli e brutti, del futuro.

In questo articolo c’è una sintesi dell’intervista, ma se volete ascoltarla per intero, la trovate qui sotto in una puntata del nostro podcast. Vi assicuro che ne vale la pena, perché Giancarlo Brocci, come al solito, è un fiume in piena, sempre onesto, mai banale…

– Giancarlo, partiamo dalla domanda che mi ha spinto fino a qui: cosa ti è passato per la testa quando hai pensato alla prima Eroica?

– L’Eroica nasce da due grandi atti d’amore.
Il primo nei confronti di un territorio meraviglioso che rischiava di essere venduto o, peggio, svenduto. Erano luoghi che si stavano spopolando, la gente si spostava verso la città e il rischio era di diventare una “brutta periferia”, fatta di asfalto, capannoni o terze case di chissà quali turisti.
Ho cercato di individuare il modo migliore per far rimanere questo territorio così come lo avevo conosciuto da ragazzo, quindi anche con le sue strade bianche.
E’ così che ho pensato alla bicicletta come mezzo per salvare questo territorio dalla deriva globalizzante.

Il ciclismo secondo Brocci
Foto Paolo Penni Martelli

Il secondo atto d’amore è stato nei confronti del grande ciclismo, quel ciclismo di cui si continuava ancora a parlare e per cui nutrivo una passione profonda trasmessa dalle generazioni precedenti.
E’ il ciclismo che ha scritto la storia d’Italia, che andava in prima pagina dei giornali generalisti.
Anche di questo ciclismo si stava perdendo l’identità, la radice autentica, perché lo sport (non solo il ciclismo) stava diventando, ed è diventato, prima di tutto produzione di spettacolo, business, diritti televisivi.

Dal mio punto di vista, se c’era uno sport che poteva recuperare la sua anima, questo era il ciclismo. Perché il ciclismo, nonostante l’evoluzione, è rimasto essenzialmente “bellezza della fatica e gusto dell’impresa”, che poi è il claim che mi attribuiscono e che magari trovate scritto negli Eroica Caffè.

L’Eroica è frutto di questa grande passione e solo dopo è diventata un evento e un business. Una passione nata 50 anni fa, quando organizzai la prima corsa di allievi qui a Gaiole e che il prossimo anno voglio riproporre per celebrare questi 50 anni.

Il ciclismo secondo Brocci
Foto Paolo Penni Martelli

– Cosa ti ricordi di quella prima edizione?

– La storia di Eroica, in realtà, nasce nel 1995 con la Granfondo Gino Bartali, perché io ho iniziato qui a Gaiole proprio con quell’evento, per sviluppare l’idea del Parco Ciclistico del Chianti e per far conoscere questo territorio ai ciclisti. Volevo solo comunicare questo messaggio: “venite in Chianti, perché vedrete quanto è bello pedalare su queste strade”.
Bartali venne qui a Gaiole e lo ricordo sempre con piacere, perché era un uomo genuino, onesto, una brava persona.

Insomma, detto questo, nel 1997 L’Eroica nasce come “gadget” per i partecipanti alla Granfondo Bartali. Chi si era iscritto alla Bartali, due settimane dopo poteva venire gratuitamente a L’Eroica.
Non c’era ancora l’obbligo delle bici d’epoca, ma già introduceva il concetto di salvaguardare le ultime strade bianche e di riportare la bici da corsa fuori dall’asfalto.
Però, già allora, c’erano i mezzi d’epoca al seguito, per “fare un po’ di cinema”.
Il lungo era 140 km e al via si presentarono 92 persone.

Foto Paolo Penni Martelli

Se mi chiedi cosa mi ricordo, ti racconto questo aneddoto.
Ero avanti al gruppo con la macchina, a fare da apripista a questa prova cicloturistica e nei primi chilometri non ebbi mai il coraggio di girarmi per vedere cosa succedeva dietro.
Poi, dopo Pianella, lungo la salita sterrata che porta verso Vagliagli, mi fermai su un tornante e aspettai l’arrivo del gruppo. Dopo qualche minuto di attesa arrivò la moto d’epoca con 5 o 6 ciclisti e due macchine d’epoca dietro. Quell’immagine non me la dimenticherò mai. Qualcosa di bellissimo, qualcosa che aveva soddisfatto la mia passione.

Ci tengo a dire che quella prima edizione nacque proprio sulle ali della passione, la pagai di tasca mia ben lontano dall’immaginare cosa sarebbe diventato questo evento negli anni.

Il ciclismo secondo Brocci

– Cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale in questi 25 anni?

– Dal mio punto di vista ti posso dire che non è cambiato niente. Abbiamo moltiplicato per 100 i primi 92, mantenendo sempre la stessa qualità umana dei partecipanti.
Nell’anima, nei valori, sono sicuro che è così.
Poi è chiaro che a livello organizzativo è cambiato tutto. Oggi è un evento che presuppone investimenti importanti, un sacco di gente coinvolta tutto l’anno.

Posso anche dirti quali sono state le date e i momenti più importanti nella crescita de L’Eroica.
Il primo step importante fu l’interessamento della direttrice dell’APT di Siena, Fiorenza Guerranti. A lei l’idea del cicloturismo piaceva molto e ci chiese di allargare l’evento non solo al Chianti, ma al resto delle Terre di Siena. Fu così che nacque il percorso lungo che toccava anche Val d’Orcia e Crete, una roba meravigliosa. Il successo de L’Eroica deriva in gran parte anche dal fascino di un territorio unico.

Il ciclismo secondo Brocci
Foto Paolo Penni Martelli

La seconda data importante fu il 2004, quando arrivò il primo sponsor internazionale: Selle Royal con il marchio Selle Brooks.
Selle Royal invitò una quindicina di giornalisti provenienti dal Nord America e così L’Eroica cominciò a farsi conoscere nel mondo.

Poi nel 2007 ci furono i professionisti, con quella che era L’Eroica Pro (e che oggi è diventata la Strade Bianche, ndr).
Ci tengo a ricordarlo, perché forse non tutti lo sanno, L’Eroica professionisti è un’idea di Giancarlo Brocci, nata qui a Gaiole in Chianti.

L’ultimo step fu nel 2008, quando decidemmo di togliere tutte le bici moderne, con l’obiettivo di diminuire per qualificare.
L’anno dopo perdemmo quasi 1.000 iscritti, ma nel lungo periodo si dimostrò una scelta vincente, portando fino ai 9.000 iscritti di quest’anno.

Quasi 9.000 iscritti e oltre 8.000 partenti. L?Eroica 2022 ha fatto segnare il nuovo record. Foto Paolo Penni Martelli
– A proposito di numeri, L’Eroica continua a crescere, mentre il mondo delle Granfondo sembra in difficoltà. Cosa c’è a tuo avviso che non va?

– Io sono un grande appassionato di ciclismo e L’Eroica è nata dal duello tra Bartali e Coppi, cioè il massimo dell’agonismo possibile.
Io non sono contro l’agonismo, ma quello che non va è la filosofia delle Granfondo, l’esasperazione…

Ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma dal mio punto di vista non puoi vivere l’amatorialità come se fossi il professionista mancato per chissà quale sfortuna.
C’è tanta gente nel gruppo delle granfondo che pensa di poter andare come Pogacar.
C’è un deficit culturale da questo punto di vista, bisogna avere il senso delle proporzioni.

Io ammiro tanto chi va forte, ci sono grandi atleti anche tra gli amatori, anche a L’Eroica (basta pensare a chi fa il lungo con le bici d’epoca), ma molti hanno perso il senso della misura e non si divertono più. E questo, senza nasconderci, ha portato anche all’abuso di cattive abitudini.
E’ la ricerca spasmodica delle prestazioni, il vivere l’amatorialità in modo culturalmente distorto, che sta segnando il calo delle Granfondo.
Senza parlare di tutti i vincoli a cui devono sottostare gli organizzatori di questi eventi…

– Qual è il tuo ruolo oggi all’interno di Eroica?

– Credo di avere un ruolo ancora più forte che in passato. Sono il consulente, il portatore della vision. Sono anche un po’ il garante dei valori fondanti di Eroica, a prescindere dal business.
E credo di essermi guadagnato questo ruolo, visto che coltivare i miei sogni, stare dentro il ciclismo, mi è costato oltre un milione di euro, in gran parte a causa del GiroBio, cioè il Giro d’Italia dilettanti in chiave “pulita”, che abbiamo organizzato per 4 anni.

– Tra le tante cose di cui volevo parlare c’era proprio la bella esperienza del Giro Bio. Cosa mi dici a riguardo, perché non si è più fatto?

– Partiamo dal perché non si è più fatto: semplicemente perché avevo finito i soldi.
Perché da un certo momento in poi la “lobby” di chi quel tipo di ciclismo non lo voleva decise che non si doveva più andare avanti. Sono iniziate pressioni politiche e i soldi promessi in convenzione (con coperture economiche firmate) non sono più arrivati.
Ognuno tragga le sue conclusioni…
Così chi doveva avere i soldi li è venuti a chiedere al presidente dell’ASD GiroBio, che era il sottoscritto.

Ho pagato tutti in prima persona. O quasi tutti, perché c’è stato anche qualcuno, che ringrazierò per la vita, che quei soldi non li ha voluti. Il GiroBio mi è costato più di un milione di euro e a quel tempo pure il pignoramento della casa.
Di quegli anni, però, porto nel cuore gli amici che mi sono stati vicini, molti dei quali facevano parte del mondo Eroico, primo tra tutti Luciano Berruti.

Giancarlo Brocci a Gaiole in Chianti, vicino al monumento dedicato a Luciano Berruti

Detto questo il GiroBio è stata un’esperienza sportiva indimenticabile, per noi organizzatori, ma anche per i ragazzi, nata grazie a Franco Ballerini e del Dott. Simonetto (allora medico della FCI), che sostennero la bontà di questa idea.

Tutti i giovani corridori erano gestiti da uno staff medico scientifico di laureati. Erano controllati da noi, recuperavano mangiando, dormivano tutti insieme. Una garanzia di ciclismo pulito, di ciclismo d’altri tempi.

Brocci ai tempi del Giro Bio. Foto Riccardo Scanferla
– Ripartiamo da qui. Cosa mi dici del ciclismo moderno: cosa ti piace e cosa no?

– La cosa che mi piace di più è sicuramente rivedere la passione anche nel ciclismo professionistico. La riscoperta di qualcosa di eroico. Pensiamo a quanto è entrata nell’immaginario collettivo la foto di Colbrelli tutto infangato dopo l’arrivo della Roubaix.
Anche gli sponsor investono in modo un po’ diverso, non solo pensando al risultato finale, ma allo spettacolo, alla bellezza dello sport.  

Mi viene in mente Van der Poel, che non è un vincente in senso assoluto, ma si è guadagnato l’amore del pubblico perché incarna questi valori.
E mi piace pensare che questi valori siano ripartiti anche dalle strade bianche del Chianti…

Il ciclismo “nuovo” sta provando a recuperare l’interesse della gente e lo sta facendo cercando di offrire spettacolo, qualcosa che non sia scontato.
Tutto questo è possibile grazie ai ragazzi che, ti dirò, anche fisicamente sono diversi rispetto al passato, trasmettono un’immagine più sana. Non vediamo più gli “ipermagri”, perché per lo sponsor (ma anche per il pubblico) è più figo un perdente “giusto”, sorridente, che uno che vince col bilancino…
E’ un ciclismo più umano, più affascinante, più vicino alla gente.

– Forse me lo hai già anticipato, ma qual è il corridore in attività che ti entusiasma di più?

– Ti dico Van der Poel perché non è un campionissimo. E’ forte, ma ha dei limiti che non teme di mostrare. Viene dalla passione di famiglia ed è uno che appassiona la gente anche quando non vince.
Poi come fai a non dire Pogacar. L’ho incontrato dopo la vittoria delle Strade Bianche, è un ragazzo solare, “bello”, si diverte ad allenarsi. Sono i ragazzi che avvicinano la gente al ciclismo.

– E il tuo preferito di sempre?

– Beh, io ero coppiano, ma ti dico Bartali.
Bartali è stato eccezionale sotto ogni punto di vista. Ci ha permesso di godere del duello sportivo del secolo iniziandolo quando lui aveva già 32 anni, che a quel tempo significava essere vecchi davvero. Era l’uomo di ferro pensato per quel ciclismo.
E se ti devo fare un altro nome: Ottavio Bottecchia, perché era l’immagine di quel ciclismo, di fatica, di resistenza estrema, che oggi non esiste più.

– Sei anche scrittore: di cosa parla il tuo ultimo libro?

– Il libro si intitola Il ciclismo secondo me ed è edito dalla casa editrice Sillabe.
E’ un libro in cui ci sono racconti di ciclismo, perché per fortuna ho avuto una vita piena e ho tanto da raccontare, anche grazie alla passione per questo sport che mi è stata trasmessa negli anni.

Se volete saperne di più su L’Eroica: eroica.cc/it