Gino Bartali beato? E poi magari un giorno anche Santo, patrono dei ciclisti?

Non è un’ipotesi tanto remota, e se ne è tornato a parlare una decina di giorni fa, quando il presidente dell’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) era a Roma, in Vaticano, per certificare l’affiliazione dell’Athletica Vaticana, in pratica la squadra ciclistica del Papa.



In realtà, la causa di beatificazione di Bartali è iniziata tre anni fa, su iniziativa dell’Ordine Carmelitano, a cui lo stesso Gino aveva aderito come terziario laico.
Ora il processo, che prevede la raccolta e la verifica di documentazioni e testimonianze sulla vita del grande campione, dopo una battuta d’arresto dovuta alla pandemia da Covid, è stato rilanciato da Monsignor Attilio Nostro, attuale Vescovo di Mileto in Calabria e che proprio a Bartali ha dedicato un oratorio nella zona nord di Roma.

Che Gino Bartali fosse uomo di grande fede è noto ai più, anzi, secondo la nipote Gioia, la bicicletta per lui ha rappresentato lo strumento per vivere la sua vicinanza a Dio.
Lo sport per Bartali, aggiunge ancora Gioia, “se non è solidarietà e scuola di vita, non serve a niente”.

Negli anni del Dopoguerra, Bartali fu un simbolo, con il suo essere credente, il suo attaccamento alla famiglia e ai valori tradizionali, il suo vivere il ciclismo quasi come una vocazione monastica.
Eppure la sua devozione sincera e spontanea non lo portò ad essere bigotto o a rinunciare alla sua indipendenza di pensiero.

Gino Bartali fu molto amato dalla gente, un campione nello sport e nella vita. Foto: Federciclismo.it

E’ vero che spesso prima di una gara importante faceva visita a un santuario e chiedeva una benedizione speciale, è vero che si fece costruire una cappella privata in casa, è vero che conosceva De Gasperi e perfino papa Pio XII tifava per lui ma è altrettanto vero che Bartali viveva la sua fede con discrezione ed umiltà.

Perfino l’irriverente Gianni Brera, che pure lo aveva criticato, alla fine ammise che Bartali aveva avuto “molto coraggio nell’esser pio. Questo è il lato più eroico”.

Uno dei “miracoli” che spesso gli vengono assegnati è quello di avere contribuito ad evitare una guerra civile nel 1948, quando in un’Italia dilaniata dalle divisioni ideologiche l’attentato a Palmiro Togliatti avrebbe potuto scatenare un’escalation di violenza.
Ma Gino Bartali proprio quell’estate vinse in rimonta il Tour de France e pacificò gli animi, unificandoli nel tifo ciclistico.
Si racconta che perfino in Parlamento i deputati di destra, centro e sinistra, non appena arrivò la notizia, si alzarono in piedi e applaudirono a lungo.

Gino Bartali subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Foto: Wikipedia.it

«Il bene si fa ma non si dice» è uno dei motti più famosi che gli sono attribuiti e che dà subito l’idea di un carattere riservato e integerrimo.

Anche dell’aiuto che diede durante la Seconda Guerra Mondiale per la salvezza di molti ebrei è un fatto di cui lui in vita non parlò quasi mai e che infatti è emerso solo dopo la sua morte, quando a raccontarlo fu uno dei “salvati”.

Delle vittorie e delle imprese sportive di Gino Bartali, del suo carattere brusco da “toscanaccio”, della sua rivalità ormai epica con Fausto Coppi, se ne è parlato fin troppo.
Del Bartali più intimo si sta scoprendo qualcosa a poco a poco, come le oltre 200 lettere inviate alla moglie o le numerose opere di carità fatte in silenzio.

Bartali insieme a Fausto Coppi. La loro rivalità è diventata ormai epopea… Foto: Wikipedia.it

Di certo è ancora presto per dire se vedremo mai Gino Bartali beato o addirittura se leggeremo sul calendario un “San Gino Bartali, ciclista” ma senza dubbio l’esempio che si può sempre trovare un modo per fare del bene resta valido, in sella e nella vita di tutti i giorni.

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