Oggi ho letto questa frase: “Parlare bene ed eloquentemente è una gran bella arte, ma è parimenti grande quella di conoscere il momento giusto in cui smettere”. Appartiene al grande musicista Wolfang Amadeus Mozart.
Parole che ho subito collegato ai pensieri che in questi giorni mi hanno riportato a ricominciare da zero con la bici. Smettere di parlare ed iniziare a pedalare.
Sul serio…
Un po’ per lavoro (bel lusso), un po’ per piacere, un po’ per passione. Un po’ perché la dipendenza da bici è fatale.
Le due ruote a pedali o le ami o le odi e nel mezzo c’è poco spazio per i convenevoli.

Qualche tempo fa un amico mi ha confidato la passione crescente del figlio per la bici da strada. La mia risposta è stata fulminea come uno scatto secco in salita: «O smette alla prima cotta o non riuscirà più a farne a meno».
Oggi è proprio suo figlio (15 anni in meno del sottoscritto) ad essere fedele “spalla” in queste prime uscite dell’anno. E vi dirò è uno dei motivi che mi ha portato a ricominciare da zero con la bici complice anche l’inizio del nuovo anno, dove i chilometri si azzerano e per qualche attimo il professionista rimane vicino all’amatore.
Distanze a parte (non conta quanti chilometri fai, ma perché e come li fai) sbloccare il meccanismo mentale che a lungo andare rende prigionieri di se stessi è un’operazione fondamentale.
Avere vicino una persona che ti sprona ad uscire per fare qualche pedalata è un aiuto.
A doppio senso. Tutto bene e di più quando la motivazione c’è, ma la vera differenza scende in strada quando le giornate sono così così e non si è molto convinti. “Dai usciamo e facciamo il giro della pensione, tranquilli”.
E dopo la doccia, una volta a casa, ecco la rinascita.
Ricominciare da zero con la bici richiede di mettere mano al quadro elettrico del nostro “teatro” per riportare su “on” tutti gli interruttori.
Non importa come sarà il palcoscenico una volta accesi i riflettori anche perché qualche asse da sistemare per non sprofondare di sotto, le quinte da rinfrescare, il copione da rispolverare “ok è così che si fa”, sono già da mettere in preventivo…
Oltre a Mozart ho ripreso in mano un libro: “Perseverare è umano”, scritto dallo psicologo Pietro Trabucchi.
Tra i primi ad aver declinato il concetto di resilienza in ambito sportivo.
«Al contrario di ciò che recita il proverbio, perseverare non è diabolico: è umano. Diabolico è rinunciare a impegnarsi, rimanere immobili, aspettare che la motivazione arrivi dall’esterno, non sfruttare a fondo tutte le risorse di cui gli esseri umani sono dotati.
Intorno al concetto di motivazione esiste molta confusione. Confusione inevitabile, visto che viviamo in una società che ha smarrito il senso dell’impegno e della volontà individuale in cambio del culto della fortuna, del talento, della genetica».
«Dobbiamo ricordare come funziona la motivazione e dobbiamo diventare resilienti: la resilienza è la capacità di persistere, di far durare la motivazione nonostante gli ostacoli e le difficoltà».
E poi ancora: «Esistono due tipi di demotivazione. Quella da basso senso di autoefficacia, che impedisce di raggiungere gli obiettivi desiderati perché me li fa apparire impossibili. E quella da scarse capacità volizionali: qui so di poter raggiungere l’obiettivo “se volessi”, ma non ho abbastanza disciplina, o non sono disposto a faticare per farlo».
«Se si vuole alzare la resilienza personale, cioè la capacità di far durare la propria automotivazione, bisogna lavorare su tutti e due i fronti: alzare il senso di autoefficacia, e aumentare le capacità volizionali (o capacità autoregolative)».
Uno scatto di testa e di cuore, quindi, per tenere vivo quel fuoco che è dentro ognuno di noi e che ognuno di noi, a suo modo, decide come esprimere.
Il mio modo è la bicicletta e sono fortunato a non essere l’unico.
Oltre alla motivazione ho capito che serve anche la pazienza.
Non importa se su quel palcoscenico si va in scena appesantiti e sgangherati al punto che le salite che prima si spianavano oggi sembrano lo Stelvio. Solo la motivazione unita alla pazienza, può portare lontano.
Non so ancora del tutto dove…

Di sicuro voltarsi e vedere che a ruota non c’è nessuno vorrei che fosse una sensazione parte di quel percorso che conduce alla meta.
Vincere? Sì ok è bello ed importante, ma quando ti volti e sei solo (magari al comando) capisci che ci sei, che non sei immobile e che stai cercando di dare il meglio di te stesso. Nell’equilibrio della vita.
P.s. Anche se è tutto in ordine due chiacchiere con un/una psicologo/a dello sport non fanno male…
Qui tutte le nostre storie.
Foto in apertura: foto Bettini