Il mio mondiale gravel (andato male...)

Redazione BiciDaStrada.it
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Il mio mondiale gravel (andato male...)

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Chiara Ciuffini è un’appassionata di bici in tutte le sue forme.
E una che in bici va pure molto forte, tanto che l’anno scorso ha vinto il mondiale gravel della sua categoria.
Se leggete abitualmente Bicidastrada.it probabilmente la conoscerete già, visto che più di una volta ha raccontato sulle nostre pagine le sue storie e le sue avventure su due ruote.

Questa volta ha condiviso con noi l’esperienza del secondo mondiale gravel, che è andato in maniera molto diversa rispetto a quello del 2022. Perché il gravel è divertente, ma è anche esigente. E perché il percorso era più difficile di quello che le immagini TV dei pro' hanno fatto sembrare...
NC

Ho vissuto un anno da campionessa del mondo gravel ed è stata un’esperienza fantastica. Un anno che sembra essere volato in un secondo.
L’avvicinamento a questo secondo mondiale gravel non è stato dei migliori. In questa stagione non mi sono mai sentita realmente in forma e ho avuto la testa impegnata in mille altre cose. Ma anche se le prestazioni non sono state quelle sperate, è stata una stagione ricca di emozioni e opportunità.

Un campionato del mondo, anche se amatoriale, non può essere improvvisato né preso così alla leggera, ma volevo esserci e in qualche modo “difendere” la maglia iridata dello scorso anno. La mia testa, però, era già proiettata verso il fallimento. Sapevo di non aver preparato tutto al meglio, ma speravo di non sfigurare.
Solo che il gravel non è solo gambe, ma anche testa e tecnica. E’ il bello di questa disciplina, ma alla fine è quello che per me si è rivelato il vero problema…

mondiale gravel

Foto Leonardo Quagliani

Alla vigilia del campionato del mondo ho letto tante “recensioni” ed opinioni sul percorso.  Tutti parlavano di un tracciato molto molto impegnativo ed esigente, che andava provato e analizzato nel dettaglio. Ho cercato di acquisire più nozioni possibili per essere almeno tecnicamente pronta.
Ma un conto è leggere, un conto è provare sul campo… 

Arrivo in Veneto il giovedì sera e il venerdì mattina, insieme alla mia compagna di squadra, che aveva provato il tracciato la settimana precedente, faccio una sgambata pre gara su un breve tratto del percorso. Un’oretta nulla di più. Poco per capire cosa avrei trovato sotto le mie ruote il giorno successivo e per valutare eventuali modifiche tecniche alla mia Specialized Crux Pro.

Sono indecisa fino all’ultimo sui rapporti da montare, ma alla fine decido di tenere la corona anteriore da 40 denti che uso di consueto con una cassetta 10-44.
La scelta delle gomme ricade sui Pathfinder Pro 2bliss ready con liquido antiforatura, che mi permettono una buona scorrevolezza nei tratti veloci e la giusta tenuta in curva. Sezione 700x38, dunque non troppo larga.

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Sabato mattina in griglia sale la tensione. Altre atlete italiane del posto mi confermano che c’è da stare attente, perché il percorso ha dei tratti più da Mtb che da Gravel “puro”. Inizio a pensare che una gomma più larga forse non avrebbe guastato…

La partenza al Lago Le Bandie offre uno scenario meraviglioso, ma c’è poco tempo per gustarselo.

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La partenza della gara Elite femminile dal suggestivo scenario del Lago Le Bandie. Foto facebook.com/ucigravelworldseries - Alex Whitehead/SWpix.com

Pronti, via!
Cuore in gola e già nella prima parte, sul lungo Piave, ecco le prime difficoltà date da un fondo molto ostico. Non si stratta semplicemente di strade bianche, ma di pietraie davvero insidiose. Se ho capito bene è qui che è caduto Van Aert.

Il percorso cambia aspetto più volte, ma c’è sempre poco asfalto.
Si sale tra i vigneti, si scende in picchiata tra i filari, si corre per stradine piene di sabbia e ci si inerpica su strappi micidiali dove il 40x44 mi sembra sempre troppo duro. Le immagini dei Pro’ trasmesse in TV hanno fatto sembrare tutto facile, ma vi assicuro che non era così. Sono loro ad essere dei fenomeni (basta guardare il video di Mohoric in discesa qui sotto, ndr).

Cemento, asfalto, sterrato, tutto incredibilmente ripido. Si scende su single track ostici e ripide rampe cementate, curve, contropendenze e un susseguirsi di ostacoli a raffica che rende tutto estremamente snervante.

Continuo a ripetermi che avrei dovuto provarlo, avrei dovuto essere più consapevole di ciò a cui sarei andata incontro, in modo da essere mentalmente preparata. Sì, perché in questo momento sento buone gambe, ma il mio avversario più grande si sta rivelando quel tracciato così tecnico, troppo ostico per me.
E così prima delle gambe è la mia testa a cedere, non pronta a sostenere una situazione del genere. 

Alzo bandiera bianca!
Sul momento un vero sollievo, prima che sopraggiunga quella sensazione di delusione e pentimento. È andata cosi, ma in fondo in fondo forse già lo sapevo.

Mondiale Gravel

Foto Leonardo Quagliani

Ho vissuto un altro Gravel, quello che non mi aspettavo, quello che non avevo ancora provato fino ad ora. L’anno scorso in tanti si sono “lamentati” del percorso troppo piatto e facile tecnicamente. Quest’anno, almeno per me, era un filo troppo estremo, forse anche perché non ero mentalmente preparata. E forse anche perché avrei dovuto ragionare meglio sulle scelte tecniche.

Non credo, però, che ci sia un vero standard per definire un percorso “giusto” per un mondiale gravel. Io lo avrei preferito un po’ meno duro e un po’ meno impegnativo tecnicamente, almeno per gli amatori, ma sicuramente a molti altri sarà piaciuto così.
Ogni territorio ha le sue caratteristiche e probabilmente il bello di questa disciplina è che vedremo proposte molto diverse tra loro negli anni. D’altronde anche su strada ci sono anni in cui il mondiale è per velocisti e altri anni è per scalatori.

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Foto facebook.com/ucigravelworldseries - Thomas Maheux/SWpix.com

Di questa edizione, oltre alle bellissime colline del Prosecco patrimonio UNESCO, voglio sottolineare l’organizzazione perfetta in ogni dettaglio (nonostante il poco tempo a disposizione) e un pubblico da grandi occasioni che hanno reso questo evento indimenticabile.

Dalle sconfitte si impara sempre.
Io torno a casa con la consapevolezza che gambe e cuore non sempre bastano. Serve colmare le lacune tecniche. E serve il sostegno della testa che deve essere forte per affrontare i momenti difficili. Un discorso che vale in bici da corsa, ma forse ancor di più nel gravel, dove l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e le variabili da controllare molte di più.
Torno a casa sconfitta, ma divertita. Ed è questo che conta…

 Foto d'apertura Leonardo Quagliani

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