Cadute, scelte tecniche e i rischi del ciclismo. Perché non diciamo le cose come stanno?

Nicola Checcarelli
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Cadute, scelte tecniche e i rischi del ciclismo. Perché non diciamo le cose come stanno?

Nicola Checcarelli
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La morte del povero Gino Mäder ha scosso l’intera comunità del ciclismo, e non solo.
Tutti, o quasi, hanno detto la loro: tristezza, cordoglio, ma anche tante polemiche.

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Fino ad oggi noi di Bicidastrada.it non abbiamo scritto nulla a riguardo. Un po’ per rispetto nei confronti di un giovane corridore scomparso e della sua famiglia. Un po’ perché certi argomenti vanno trattati a mente fredda, senza lasciarsi trasportare dall’onda emotiva dell’evento tragico.

Adesso, però, dopo aver letto veramente di tutto, ci sembra doveroso prendere una posizione, anche per fare un po’ di chiarezza e far riflettere su alcune polemiche sterili (sollevate da chi di ciclismo ne parla una volta l’anno, ma anche da molti addetti ai lavori).

rischi del ciclismo

Foto Giro d'Italia

Percorsi pericolosi? Parliamone…

La prima discussione riguarda i percorsi. Evenepoel si è lamentato dell’arrivo in fondo alla discesa. In tanti, soprattutto estranei al mondo del ciclismo e delle corse, hanno detto che è da folli scendere in bicicletta a 100 km/h.

Bene, chi mastica di corse sa che è sempre stato così. I 100 km/h l’ora si toccano o si sfiorano con regolarità nelle grandi corse a tappe. Un tempo forse si andava un po’ meno, ma con bici decisamente diverse.

Non conosciamo ancora (e forse non la conosceremo mai) la dinamica della caduta di Mader, ma l’impressione è che sia stato un errore di traiettoria. La discesa dell’Albula Pass è molto veloce (basta dare un'occhiata al video qui sotto, pubblicato su Corriere TV), ma è praticamente un’autostrada. Carreggiata larghissima, asfalto buono. Diciamo la verità, di discese molto più rischiose i corridori ne affrontano a centinaia.

Gli arrivi in fondo alle discesa ci sono sempre stati, i traguardi non possono essere sempre in quota e anche la proposta di Adam Hansen (presidente del CPA, il sindacato dei corridori), di inserire almeno 3 km di pianura prima dell’arrivo la comprendiamo poco.
Ricordiamo che il nostro povero Fabio Casartelli, nel 1995, è morto in una discesa nelle fasi iniziali di gara, non nel finale della tappa.

Vogliamo togliere tutte le grandi salite e le discese pericolose? Ok, ma allora significa cambiare la natura di questo sport. E poi siamo sicuri che viaggiare a gruppo compatto a 65 km/h in pianura sia meno rischioso?

Detto questo, è giusto chiedere la massima professionalità agli organizzatori, è giusto che si limitino passaggi pericolosi, che vengano segnalati punti critici, ma la verità è che non si corre in pista e che è praticamente impossibile rendere davvero sicuri 150 o 200 km di gara.
Ho corso anche io, anche se non a livello professionistico, e so che questo fa parte del mestiere…

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Foto: @VoltaAlgarveOfficial

Bici meno sicure? O forse è il modo in cui vengono usate

Un’altra polemica è nata intorno alle biciclette moderne. Troppo rigide, troppo veloci, troppo difficili da guidare. Le ruote alte sono pericolose, i dischi fanno cadere e chi più ne ha più ne metta…

Ma siete davvero convinti che le bici di 30 anni fa fossero più sicure? Non scherziamo per favore. Se proprio devo scegliere a 100 km/h in discesa ci vado con le bici di oggi, non con quelle di 20 o 30 anni fa.

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E’ vero, le ruote ad alto profilo sono ormai la normalità e sono molto rigide. Ma i Pro’ le usavano già alla fine degli anni ’90. Quelle attuali, grazie alla maggiore larghezza interna, sono molto più facili da controllare rispetto a quelle di pari altezza di qualche anno fa. Per non parlare della maggiore sicurezza garantita dalle gomme più larghe, ormai diffuse anche tra i Pro’.

Certo, le ruote e le bici moderne aiutano ad andare più forte e con la velocità aumentano i rischi, ma questo è un altro discorso. Dare la colpa alle bici e alle ruote sarebbe un po’ come dire che le moderne auto di Formula 1 o le Moto Gp sono troppo veloci rispetto al passato.

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Passiamo ai freni a disco. Per tanti sono troppo potenti e sarebbero la causa di molte cadute. Onestamente non crediamo sia così. La frenata è comunque modulabile ed in condizioni di emergenza offrono qualcosa in più dei rim brake. Poi ci stiamo dimenticando che si parla di professionisti, che sanno usare molto bene i loro attrezzi del mestiere.

Ad essere pericolose, nel caso, sono certe estremizzazioni, che aumentano i rischi del ciclismo.
L’impostazione in sella, ad esempio, per tutti è ormai rivolta alla ricerca della massima prestazione e della massima aerodinamica. Posizioni molto caricate in avanti, con manubri strettissimi e leve esageratamente girate verso l’interno, che a volte sono difficili da raggiungere con le mani in presa bassa.
L’Uci ha vietato la posizione supertuck e quella coi gomiti sul manubrio, ma i corridori hanno aggirato il divieto con manubri sempre più stretti (e meno stabili) e leve esageratamente intraruotate, tanto da rendere difficile frenare. Forse, piuttosto che misurare l’altezza dei calzini nelle prove a crono, ci sarebbe da rivedere qualcosa in questo ambito…

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L’aspetto chiave, però, a nostro avviso è un altro, cioè il modo in cui le bici vengono usate e il livello di rischio che alcuni corridori sono disposti/costretti a prendersi pur di guadagnare un secondo o stare davanti…
Si va sempre più forte, tutti vorrebbero stare nelle prime posizioni del gruppo, nessuno vuole più frenare ed è inevitabile che così il rischio di cadere aumenta, a prescindere dalle bici e dal percorso.

Torniamo ad un discorso già fatto: è una gara e il rischio fa parte del gioco, ma probabilmente l’attuale sistema non aiuta…

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Un sistema in cui conta solo vincere per sopravvivere. Non sarà questo il problema?

Vincere è sempre contato tanto. In tutti gli sport, ma nel ciclismo in particolare, dove l’unica fonte di finanziamento delle squadre sono gli sponsor. E gli sponsor chiedono visibilità e vittorie.
Ma l’introduzione della nuova classifica UCI World Tour, con le “promozioni e retrocessioni”, ha esasperato la situazione.

Uscire dal World Tour significa perdere tanto, se non tutto. L’anno scorso ricorderete la pressione a cui sono state sottoposte le squadre che erano a rischio retrocessione.
Una pressione che spinge i manager a chiedere il massimo ai corridori. Nel ciclismo moderno si vince o perde per pochi secondi e rischiare qualcosa in più dell’avversario può fare la differenza.
Se proprio vogliamo trovare una causa all’aumento delle cadute, dovremmo ragionare su questo…

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La verità? L’imponderabile è sempre dietro l’angolo

Abbiamo parlato di materiali, di percorsi, di rischi eccessivi.
Ma alla base di tutto c’è un’altra cosa, che spesso ci dimentichiamo, o di cui corridori e appassionati “vogliono” dimenticarsi. Una cosa che fa paura dire e scrivere: il ciclismo è uno sport pericoloso. Forse uno dei più pericolosi.

I piloti di moto dicono che noi ciclisti siamo pazzi a buttarci in discesa, su strada, con quelle gomme e soprattutto senza protezioni significative, se non il caschetto.

Si corre su strada, e non in pista. Gli ostacoli sono ovunque, l’imponderabile è sempre dietro l’angolo. A volte la differenza la fanno solo il fato e la fortuna. Ma questo vale sia durante una gara, sia ogni maledetto giorno di vita quotidiana.

Il povero Gino ha sbagliato una curva e chissà dove ha sbattuto appena finito a terra.
Magnus Sheffield è caduto con lui, esattamente nello stesso punto, ed è uscito malconcio, ma tutto intero.
Pochi giorni dopo Zana è stato protagonista di una caduta simile al giro di Slovenia (video sotto). Gli è andata bene, è risalito in sella e ha chiuso la tappa al secondo posto. Ma tutti sappiamo, lui per primo, che poteva finire diversamente.

Tutti coloro che hanno corso, ma anche tutti coloro che vanno abitualmente in bici, sicuramente ricordano almeno un episodio in cui hanno rischiato grosso, in cui gli è andata bene, in cui qualcuno li ha protetti..

E’ il ciclismo, signori.
Si può sicuramente ancora fare molto per la sicurezza, ma non si possono eliminare del tutto i rischi.
RIP Gino

Foto d'apertura tratta dal video Eurosport

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Sull'autore
Nicola Checcarelli

Passione infinita per la bici da strada. Il nostro claim rappresenta perfettamente il mio amore per le due ruote e, in particolare, per la bici da corsa. Ho iniziato a pedalare da bambino e non ho più smesso. Ho avuto la fortuna di fare della bici il mio lavoro, ricoprendo vari ruoli in testate di settore, in Regione Umbria per la promozione del turismo in bici, in negozi specializzati. Con BiciDaStrada.it voglio trasmettervi tutta la mia passione per le due ruote.

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