L’Italia non è un paese per bici.
O meglio, l’Italia non è un paese per gente che va in bicicletta, purtroppo.

Secondo i dati ANCMA nel 2020 le vendite di biciclette sono aumentate del 30%, ma non altrettanto si può dire della sensibilità e dell’attenzione nei confronti di chi va in bici.
E, forse ancor peggio, nemmeno della lungimiranza nel capire che la bicicletta può portare con sé un indotto economico notevole.

In questo fine settimana, infatti, a fare da contraltare al grande successo di Italian Bike Festival e alla vittoria di Colbrelli al Campionato Europeo di Trento, abbiamo avuto due spiacevoli episodi (anzi, uno spiacevole e l’altro drammatico) che sono diventati virali sui social.




Il primo è la discussione alla Gran Fondo Strade Bianche tra alcuni ciclisti e i rappresentati della Nobile Contrada dell’Aquila (video qui sopra), che si somma al malcontento di molti cittadini dovuto ai disagi causati dall’evento.

Il secondo (ben più grave), è il video (qui sotto) che mostra un’auto far cadere intenzionalmente un ciclista in discesa in provincia di Varese.
Episodio che solo per una serie di circostanze fortunate non è finito in tragedia.

Andando oltre i singoli episodi, di cui si è già scritto e letto molto, quello su cui riflettere è cosa questi rappresentano.

Nel primo caso, a prescindere dalle possibili responsabilità organizzative, ci troviamo di fronte all’ennesimo esempio di come il ciclismo sia visto più come un problema che come un’opportunità di sviluppo economico e sociale.

All’estero si organizzano con sempre più frequenza eventi sportivi (non solo ciclistici) nelle grandi città (e parliamo di città come Londra, New York, Berlino), che sono vissuti come occasioni di festa e incentivano turismo e stili di vita più corretti e consapevoli.

In Italia, ogni volta che un evento tocca il centro di una città non si perde occasione per fare polemica sui disagi che questo crea, piuttosto che sull’indotto che genera.

Italia non è un paese per bici

Per non parlare di turismo, mobilità e infrastrutture.
A parole tutti si riempiono la bocca, ma allo stato attuale delle cose, salvo alcune eccellenze, il nostro paese è rimasto colpevolmente indietro rispetto al resto d’Europa.

Il drammatico episodio di Varese, invece, rappresenta la punta di un iceberg, l’inevitabile epilogo di quella situazione di tensione che quotidianamente si vive sulle nostre strade tra ciclisti e automobilisti.
Pedalare in Italia è terribilmente pericoloso, c’è poco da fare.

Lo è a causa delle infrastrutture che mancano, di asfalti in condizioni pietose, ma anche del poco rispetto reciproco e dell’incapacità di attuare un’azione forte e condivisa da parte degli organi di Governo.
Basti pensare che uno dei candidati a Sindaco di Roma nel suo programma elettorale ha come priorità rimuovere alcune delle poche piste ciclabili della città, perché intralciano il traffico…

Il mondo del ciclismo sta facendo grandi sforzi in questa direzione, ma purtroppo pare che questi sforzi siano recepiti solo da chi in bici ci va e non da chi sta dall’altra parte.
Anzi, per certi versi sembra che contribuiscano ad accrescere l’odio nei confronti di chi pedala.

Cosa fare di fronte ad una situazione così frustrante e triste?
Ogni singolo appartenente al mondo delle due ruote (noi media in primo luogo) deve fare la sua parte, cercando di promuovere rispetto reciproco e buone pratiche.
Ma senza un intervento forte da parte delle istituzioni, un cambio di rotta culturale che parta dalle scuole, unito a sanzioni esemplari per i pirati della strada, il rischio è che nulla possa cambiare…

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