E vengono a parlarmi di eroi…
Di eroi dello sport.
Certo, esistono e ammetto di aver sognato di diventarlo.
Sono stato un agonista, uno di quelli che avrebbe fatto di tutto per vincere, ma sempre con il sorriso quando, poi, mi fossi guardato allo specchio.
Ho sudato, ho perso le forze, ho perso la cognizione di tempo, spazio, amicizia, serenità, dovere, giorno e notte.
Tutto, pur di inseguire il mio sogno di ciclista professionista.
Ho sudato, fatto fatiche infinite che per me, per il mio piccolo motore, erano imprese.
E nessuno mi ha chiamato eroe.
Perché non ero un eroe.
Non ne avevo nemmeno lontanamente l’aspetto.
Guardavo avanti, diritto, stretto sulla strada, senza divagazioni, senza chiedermi se e perché.
Andavo avanti.
Sentivo il motore che andava, sentivo che il meglio stava per arrivare.
Che ero vicino alla conquista di quel traguardo.

Sudo ancora.
Ma ora mi guardo intorno.
Ora, per capire come sto, ascolto le gambe, il respiro e il cuore.
Ora, sono quello che una volta non avrei mai voluto essere: una persona qualunque.
Uno che, se lo guardi da fuori, fa una vita qualunque.
Che ha le abitudini di tantissime altre persone.
La bici mi ha tradito?
No, ma confesso di averlo pensato.
Il sogno di corridore, il desiderio di essere lì in mezzo, al gruppo del Giro d’Italia, mi aveva fatto pensare che, io, ce l’avrei fatta.
Che sarebbe bastato solo volerlo intensamente.
E sudare tutto quello che c’era da sudare.

Sono un ciclista



Ora sudo ancora.
Ora, su questa salita lenta e pesante, mi dico che, no, non mi ha tradito.
La bicicletta, lo strumento sul quale sono tornato a investire una parte del mio tempo migliore, mi ha detto che io non ero fatto per quelle cose lì.
Io dovevo fare altro.
Io dovevo cercare una strada mia in mezzo a quella di tante altre persone che più o meno erano come me.
Nessuno è meglio di nessun altro nella vita.
Nessuno ha più diritto di qualcun altro.
Questa salita lenta mi sta giudicando, forse, come uomo.
Forse, come atleta.
Anzi, come ex-atleta.
Non mi vergogno a dirlo e non mi sento più un fallito o un’occasione mancata.

Fammi cambiare rapporto: hanno inventato il 28, giusto?
E allora è meglio usarlo…

Sono passati oltre 20 anni.
Quel sogno si è spento, ma con esso anche ogni rimpianto.
Se potessi parlare ora al mio migliore amico gli direi: “Guarda, sì, la bici mi ha bastonato spesso, ma alla fine mi ha fatto il più bel regalo, allontanandosi per un po’ dalla mia vita”.
Ho smesso di usarla per quasi 15 anni.
Mi infastidiva.

Bisogna imparare a lasciarsi nella vita.

Quando ho smesso di gareggiare ho perso il ritmo di gara, la determinazione del soldato e in salita mi ritrovavo a pedalare a un ritmo che le gambe non sapevano tenere.
La testa andava a 25 all’ora, ma io pedalavo a fatica a 15.
Lì, quel giorno, anzi, in quei giorni, perché è capitato più volte, ho detto BASTA!
Basta, basta, basta.
Ma, caro amico mio, se proprio lo vuoi sapere, forse solo oggi ho capito a cosa stavo dicendo basta.
Guardami: pedalo benino, per l’età e il tempo che ho e so che potrei migliorare molto.
Guardami: ti sembro triste?
Rispondo io: no, non lo sono.
Quando ho detto basta, l’ho detto alla bici con il numero.
Non fai più per me e io non faccio più per te.
Però, sono qui.
Ho attraversato mari e monti anche senza la bici, ho costruito rapporti per la vita, ho creato cose, emozioni, amicizie e legami che niente scioglierà.
E oggi sono qui, con la testa di uno che era un atleta e oggi è un padre.
Una volta era un sognatore e oggi è uno che ha realizzato i suoi sogni.
Altri sogni, è vero, ma non sono un ripiego.

Qui diventa più facile, scendo al pignone da 25.
Mancano 3 km alla fine della salita.
Ma sta arrivando la pioggia?

L’aver perso la cognizione di spazio, tempo, felicità, amicizia.
L’aver sempre detto di no “perché io, no, mi devo allenare, non posso”.
Io ho un grande obiettivo.
Io non posso distrarmi.
Ma in realtà era solo una grande scusa.
Sì, sono stato un codardo.
Anche altezzoso, forse.
Insomma, non proprio affabile.
Eppure questa salita mi ha sempre detto le stesse cose.

“Stai andando bene, le tue fatiche verranno ripagate”

Solo oggi mi chiedo: sto andando bene, ma verso dove?
E quali fatiche?
E ti rispondo, amico mio, che quelle fatiche non sono tanto quelle ciclistiche, quanto quelle quotidiane.
Quelle fatte in bici sono diventate un piacere.
E gli eroi, quelli di cui parlano i giornali di sport, sono eroi come noi.
Sono bravissimi, sono talenti veri, ma nello sport.
Essere eroi è un’altra roba.
Significa essere solitari come ciclisti, forti come montagne e con un cuore grande così.
Io credo negli eroi di tutti i giorni.
Lo sono anche io.
E sai come faccio?
Cerco di meritarmi la mia uscita in bici, perché sennò diventa noia.
Sennò non saluterei i ciclisti che incontrerò lungo la strada.
Sennò tutto sarebbe freddo.
E tutto sarebbe come tornare ad avere quel numero sulla schiena.
Per meritarmi questa uscita in bici faccio il mio dovere, cerco di aiutare chi posso aiutare e sorrido.
E sai anche tu quanto è difficile, a volte, essere eroi tutti i giorni.

Sono un ciclista

La salita è quasi finita.
Piove, laggiù.
Ci siamo.
Mi sento sollevato.
Sorrido.
Alleggerisco il rapporto.
Sgancio un pedale.
C’è un ciclista che sale dall’altra parte.
Mi guarda, lo saluto e sorridiamo.

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