Geraint Thomas è un gallese di 32 anni. Ha vinto l’ultimo Tour de France gestendo la corsa con il piglio e l’autorità del campione, anche se prima del 2018 non era mai riuscito a concludere un grande giro nei primi 10 della classifica generale.

Per qualcuno è stata una sorpresa. Per chi conosce il ciclismo forse un po’ meno.
Sicuramente non lo è stata per il Team Sky: in una squadra in cui tutto è programmato con precisione scientifica è difficile pensare che sia stata una vittoria improvvisata.
Tendiamo a pensare che Thomas sia partito allo stesso livello di Froome, almeno per due motivi: Froome aveva già corso (e vinto) il Giro d’Italia e quindi la sua condizione poteva non essere al 100%; fino a pochi giorni dalla partenza del Tour non c’era neanche la certezza che Froome si schierasse al via, per le note vicende legate al caso Salbutamolo.

Foto VK/PN/Cor Vos © 2018

In queste righe, però, non vogliamo raccontarvi chi è Geraint Thomas.
Lo avrete letto un po’ dappertutto e in tutte le salse.
Vogliamo analizzare un altro dato di fatto che merita qualche considerazione approfondita.

Al Tour 6 vittorie inglesi negli ultimi 7 anni
Il dato di fatto è questo. Con la vittoria di Geraint Thomas gli atleti britannici (tutti in forza al Team Sky) hanno conquistato 6 delle ultime 7 edizioni del Tour: una con Wiggins (2012), 4 con Froome (2013, 2015, 2016, 2017) e l’ultima con Thomas.
Ad interrompere questo dominio, nel 2014, è riuscito solo il nostro Vincenzo Nibali.
Un caso fortuito? Decisamente no, soprattutto se si considera che prima del 2012 nessun ciclista inglese aveva mai vinto la Grande Boucle e pochi si erano distinti a livello internazionale.

Geraint Thomas
Nibali è stato l’unico non inglese a conquistare il Tour de France negli ultimi 7 anni.

Il progetto della British Cycling
Le vittorie di Wiggins, Froome e Thomas, ma anche l’abbondanza di atleti di alto livello (vedi Cavendish e i fratelli Yates solo per fare qualche esempio) non sono frutto del caso.
Sono il risultato di un piano di sviluppo messo in atto dalla British Cycling (la federazione ciclistica britannica) già alla fine degli anni ’90, per far crescere il movimento ciclistico in vista delle Olimpiadi di Londra 2012.

Geraint Thomas
Simon Yates in maglia rosa al Giro d’Italia. Foto giroditalia.it

Un progetto finanziato con tanti soldi, che al contrario di altre realtà sono stati ben spesi.
Non si è pensato ad avere tutto e subito, ma a sviluppare un piano di crescita pluriennale, fondato su solide basi: la consapevolezza di essere un passo indietro rispetto alle grandi forze del ciclismo di quegli anni, la voglia di conoscere e di imparare, ma allo stesso tempo la programmazione scientifica e la volontà di affidarsi solo alle eccellenze più qualificate per far crescere l’intero sistema.
Un progetto che prevedeva un “Talent Team”, cioè una formazione selezionata di giovani talenti su cui lavorare per farli crescere e diventare campioni a lungo termine.
La beffa sta nel fatto che il “Talent Team” britannico, così come in passato quello australiano, è venuto a imparare i segreti del mestiere in Italia, con l’umiltà di “rubare” i trucchi della nostra scuola, integrandoli con lo sviluppo scientifico di nuovi materiali e nuove metodiche di allenamento e alimentazione.

Foto VK/PN/Cor Vos © 2018

Le parole di Geraint Thomas a fine Tour sono illuminanti in questo senso: “Per molti è difficile comprendere come l’Inghilterra sia diventata una nuova forza ciclistica. Il segreto di tutto questo? Tanto lavoro svolto da un gruppo straordinario, fatto di eccellenze, le migliori e qualificate al mondo. Abbiamo dovuto trascorrere anni ad imparare i segreti del mestiere, a metterci in discussione, ma ora raccogliamo i frutti di quello che abbiamo seminato”.

La multidisciplina
Geraint Thomas non è un signor nessuno. Viene  dalla pista (come Wiggins), dove ha vinto nell’inseguimento a squadre due ori Olimpici, a Pechino 2008 e Londra 2012, oltre che tre titoli mondiali.
Chi mastica di ciclismo sa che per primeggiare nell’inseguimento a squadre ci vuole un super motore.
Le basi quindi ci sono tutte.
Il resto è frutto di un cammino di crescita (rallentato anche da qualche episodio sfortunato come la rovinosa caduta al Giro 2017), programmato in maniera scientifica e graduale, che ha portato Thomas a migliorare anno dopo anno, fino ad arrivare alla vittoria di questo Tour.

Geraint Thomas
Edward Clancy, Geraint Thomas, Steven Burke e Peter Kennaugh nella gara a inseguimento a squadre di Londra 2012 . Foto sport.sky.it

Il fatto che Geraint Thomas (e Wiggins) provengano dalla pista non è casuale
La base del progetto di sviluppo della British Cycling, infatti, partiva proprio dalla pista, considerata come un’attività propedeutica a tutte le altre discipline.
La multidisciplinarietà, soprattutto in età giovanile, è uno dei punti di forza del nuovo modello britannico (ma anche di quello francese e di quello australiano).
La pista, in Italia oggi quasi “sconosciuta” ai giovani, aiuta a sviluppare il colpo d’occhio, la rotondità di pedalata, la potenza e l’agilità.
Avete notato che salto di qualità ha fatto Elia Viviani nel rendimento su strada, dopo essersi preparato con costanza in pista in vista delle Olimpiadi (vittoriose) di Rio 2016?
Da noi però rimane un fatto isolato, in Inghilterra si tratta della normalità…

Geraint Thomas
Foto Le Tour de France.

Il ciclismo e società
Per avere tanti campioni c’è bisogno di avere tante persone che vanno in bici.
Anche in questo senso ormai gli inglesi hanno una marcia in più.
Chi ha avuto modo di recarsi a Londra negli ultimi anni avrà visto quante persone si muovono in bici, anche in una metropoli caotica con milioni di abitanti.
Ci sono tante piste ciclabili, ma soprattutto si è “lavorato” sulla mentalità delle persone.
L’uso della bici viene incentivato in tutto il paese,  così come vengono stimolati i più piccoli (e i loro genitori) ad usare le due ruote: come gioco, come sport, come mezzo di trasporto e di fitness.
I piccoli ciclisti in erba saranno i campioni di domani.

Geraint Thomas
Froome con Thomas nell’ultima tappa del Tour. Foto Le Tour de France.

L’effetto Sky
Il Team Sky, nato per volontà di Dave Brailsford, si è inserito perfettamente nel contesto di sviluppo del ciclismo britannico.
Un team nato da zero, nel 2010, ma con una struttura e una mentalità manageriale, in cui tutto è gestito in maniera scientifica e nulla è lasciato al caso.
L’obiettivo di Brailsford era quello di portare entro 5 anni un corridore inglese a vincere il Tour. Ci sono riusciti in molto meno tempo.
Oggi il Team Sky è antipatico a tanti, è molto chiacchierato, ma la realtà dei fatti parla di una squadra che si distingue per capacità di gestione, approccio scientifico e professionale di ogni aspetto, grandi investimenti in ricerca e sviluppo.

Geraint Thomas
Foto Le Tour de France.

Braislford è sostenitore della teoria dei “marginal gains”, cioè dei guadagni marginali: nel ciclismo di altissimo livello, come quello attuale, ogni minimo dettaglio fa la differenza.
Anche un guadagno dell’1%, che può derivare da un piccolo, marginale, fattore è fondamentale.
Per questo alla Sky sono sempre attenti al dettaglio, dall’allenamento, alla posizione in bici, dall’alimentazione alla gestione scientifica dei gregari durante un grande giro.
E’ vero, sacrificano lo spettacolo, ma al momento giusto raccolgono i frutti del loro seminato. Forse anche altri team dovrebbero iniziare a ragionare nello stesso modo?

E in Italia?
In Italia, purtroppo, di ciclismo si parla soprattutto quando succede qualche grave incidente stradale.
Cresce la cultura dell’intolleranza tra ciclisti e automobilisti, le strade sono sempre meno sicure, con il risultato che i genitori “spingono” i figli verso ogni altro sport, piuttosto che verso il ciclismo.
Le squadre giovanili scarseggiano, un po’ per mancanza di sponsor e soldi, un po’ per mancanza di personale qualificato che abbia tempo da dedicare ai giovani.
L’immagine del ciclismo agonistico è scaduta ai minimi termini.

Geraint Thomas
L’elenco dei Team World Tour 2018. Nemmeno una squadra italiana… Anche se a onor del vero lo staff di alcuni team annovera diversi tecnici italiani.

I soldi da utilizzare, anche a livello di rappresentative nazionali, non sono molti e spesso non c’è la possibilità di investire in progetti pluriennali. Si naviga a vista.
Non c’è più nemmeno uno squadra italiana nel Word Tour.

Ci crogioliamo sugli allori, godendo ancora dei successi del passato e di quello di qualche grande campione, come Nibali o Aru. Ma tutto sembra essere affidato al caso.
Noi, che eravamo la culla del ciclismo, ora siamo costretti a inseguire.
Il “modello britannico” fa scuola e in Italia è ora di rimboccarsi le maniche.
Finché siamo in tempo…